UN LUNGO VIAGGIO VERSO IL GESU' DELLA STORIA

Jesús Peláez

Cittadella Editrice. Assisi. Italia. 2001.

 

          Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e lungo la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?»

          Ed essi risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti».

          Ma egli replicò: «E voi, chi dite che io sia?».

          Pietro gli rispose: «Tu sei il Messia».

          Ma egli impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.

          E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Gesù faceva questo discorso apertamente.

          Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Vattene lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (Mc 8, 27-33).

 

          Il risultato di questa inchiesta di Gesù tra i suoi discepoli è sorprendente: Gesù non è quello che la gente crede né quello che pensano i discepoli. Non è Giovanni il Battista, da poco assassinato e ora redivivo; né Elia, il profeta che aveva difeso il monoteismo e di cui, secondo la tradizione ebraica, si attendeva il ritorno; e neppure era un altro nome da aggiungere alla lunga lista di profeti dell'Antico Testamento. Gesù non rappresenta una continuità con le aspettative ebraiche sul Messia.

           La risposta di Pietro sembra, da principio, la più adeguata, ma ugualmente non coglie nel segno. Per lui che parla a nome dei discepoli, Gesù non è «un» Messia, ma «il» Messia delle aspettative popolari nazionaliste (in greco, con l'articolo determinato: ho khristós)(1).

          Alla risposta di Pietro, dice il vangelo, Gesù «impose (in greco epitimaô) severamente ai discepoli di non parlare di lui a nessuno». Per ben tre volte appare in questo testo il verbo epitimaô che come nel resto del vangelo di Marco, si usa sempre quando è in gioco l'immagine del Messia: in bocca a Gesù (1, 25; 3,12; 4,39; 8,30; 9,25) per imporre il silenzio agli spiriti impuri e al vento, trattato alla stregua di uno spirito impuro, e ai discepoli o a Pietro, perché prendono le difese del messianismo nazionalista violento; oppure in bocca di Pietro e dei discepoli (8,32-33; 10, 13.48) per far tacere Gesù o la gente, perché proclamano un'immagine del Messia in disaccordo con quella che essi hanno di Gesù.

          L'opinione che Gesù ha di se stesso è diversa, dal momento che non si identifica in nessun modo con le aspettative messianiche predominanti tra gli ebrei, quando indica la strada che deve seguire il Figlio dell'uomo (2): «E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».

          Questa immagine di un «Figlio dell'uomo» che va incontro alla morte (e poi resusciterà), in linea con il cantico dello schiavo di Isaia (52,13-53,12), risulta inaccettabile per Pietro, che inveisce contro Gesù come se fosse un demonio, e subisce a sua volta l'invettiva di Gesù che arriva ad apostrofarlo come «Satana». Per Gesù, Pietro e i discepoli pensano come Satana e non come Dio, negandosi a riconoscere il cammino che deve seguire il Figlio dell'Uomo.

          Ho scelto questo passaggio - scritto alla luce dell'evento pasquale - perché la domanda sull'identità di Gesù resta in sospeso. Le risposte che ad essa sono state date nel corso della storia - come nel passaggio evangelico che ho commentato - sono state molto diverse e in modo del tutto particolare lo sono state negli ultimi secoli.

          Questo lavoro - che ha la pretesa di portare a conoscenza del lettore non specializzato lo stato della questione della ricerca sul Gesù della storia - presenta due parti ben distinte: nella prima si fa un breve excursus su quanto possiamo sapere di Gesù in base agli antichi documenti non cristiani, ebraici o pagani; nella seconda, si espone in maniera succinta lo sviluppo del dibattito sul «Gesù della storia» e il «Cristo della fede» che si è svolto dal XVIII secolo fino ai giorni nostri (3), svolgendo alcune riflessioni sul lungo viaggio percorso dagli studiosi inseguendo l'obiettivo di scoprire l'autentico «Gesù della storia», che i vangeli presentano fin dall'inizio come il «Cristo della fede».

          La domanda, nel corso della storia, è stata e continua a essere la stessa: Gesù e/o Cristo? (4).

 

1. Gesù negli antichi documenti non cristiani

 

          Per affrontare la questione del «Gesù della storia», lo storico ha a disposizione due tipi di documenti antichi, di carattere totalmente diverso:

          - Alcuni - sorprendentemente molto scarsi e scarni - provengono da fonti non cristiane, bensì ebraiche o pagane.

          Quanto conosciamo dalle fonti ebraiche (Giuseppe Flàvio e il Talmud) non può essere di grande aiuto nella conoscenza del Gesù storico; in queste, infatti, Gesù è praticamente uno sconosciuto, un personaggio di cui rimangono per i posteri solo dei brevi appunti, su alcuni dei quali, come vedremo, vi sono persino dei dubbi dal punto di vista della trasmissione del testo.

          Neppure quanto sappiamo dalle fonti pagane dei primi due secoli della nostra era (storici romani) è di grande aiuto per la conoscenza del Gesù storico, mentre lo è per sapere qualcosa di più sugli inizi del movimento cristiano in seno all'Impero romano.

          - Altri documenti - i vangeli, in particolare - sono ricchi di dati sulla nascita, la predicazione, la morte e la resurrezione di Gesù, ma provengono da ambienti di seguaci, e oggi tutti ammettono che tali documenti costituiscono una base piuttosto complessa, per poter arrivare, a partire da essi, al Gesù della storia.

          Se si escludono i vangeli, sorprende la scarsa attenzione che il resto dei testi del Nuovo Testamento (Lettere e Apocalisse) presta alle parole e agli atti di Gesù prima della sua resurrezione (5).

 

a) Le fonti ebraiche: Giuseppe Flàvio e il Talmud

 

          Giuseppe Flàvio, storico ebreo di lingua greca (37 d.C.-110 d.C.), nelle sue opere fornisce notizie su Erode e la sua dinastia, sui governatori di Giudea, compreso Ponzio Pilato, sugli esseni e su Giovanni Battista, e racconta le peripezie del popolo ebraico nel corso dei due ultimi secoli della sua esistenza come nazione, offrendo uno quadro dell'ambiente ebraico in cui è nato il cristianesimo. Su Gesù, comunque, riporta solo due notizie nella sua opera Antichità giudaiche.

          Ecco il testo della prima: «In quest'epoca visse Gesù, uomo saggio, sempre che lo si possa chiamare uomo, dal momento che realizzava opere sbalorditive ed era maestro di uomini che accoglievano con piacere la verità, trascinando dietro di sé molti ebrei e anche molta gente di stirpe greca. Era il Messia. Quando, su denuncia di nostri notabili, Pilato lo condannò alla croce, quelli che gli avevano voluto bene all'inizio non cessarono di amarlo, poiché il terzo giorno era loro apparso di nuovo in vita come avevano annunciato i profeti divini, così come mille altre meraviglie su di lui. E fino al giorno d'oggi non è scomparsa la stirpe di coloro che grazie a lui sono chiamati cristiani» (Antichità giudaiche, 18, 63) (6). Le parole in corsivo nel testo indicano le parti con ogni probabilità aggiunte da cristiani al testo originale di Giuseppe Flàvio. L'autenticità di questi passaggi del testo è stata messa seriamente in dubbio perché non saldamente collegati al contesto che appare nell'opera. Le versioni del testo riportate dai manoscritti, inoltre, non concordano tra loro. Eliminando dal testo le possibili interpolazioni, si può dare per sicuro che Giuseppe Flàvio, alla fine del primo secolo, riferisce della attività taumaturgica di Gesù e del suo insegnamento, dei suoi seguaci ebrei e greci, della condanna alla croce da parte di Pilato e della sopravvivenza, dopo la sua morte, del movimento cristiano, dati di enorme importanza per gli storici perché provano l'esistenza storica di Gesù, che oggi più nessuno osa mettere in discussione.

          La seconda notizia - indiretta - su Gesù riferita da Giuseppe Flàvio, è quella del processo e della lapidazione di san Giacomo: «Anna (il Sommo Sacerdote ) credette che, morto Festo e trovandosi ancora in viaggio Albino, vi fosse l'occasione di riunire il Sinedrio a giudizio e di far comparire davanti ad esso il fratello di Gesù detto il Cristo, di nome Giacomo, e con lui alcuni altri. Li accusò di aver violato la legge e li condannò a morte mediante lapidazione» (Antichità giudaiche 20, 200). La maggior parte  dei ricercatori considera autentico questo passaggio, attraverso il quale abbiamo la notizia della lapidazione di san Giacomo, presentando come «fratello di Gesù detto il Cristo».

          Il Talmud, a sua volta, offre due notizie su Gesù.

          Ecco la prima, il cui testo pure viene discusso dal punto di vista critico. «... E alla vigilia della Pasqua (7), fu appeso (alla croce) Gesù. Nei quaranta giorni precedenti un messaggero andò per strade e piazze gridando: "(Gesù) sta per essere lapidato perché ha praticato le arti magiche e ha sobillato il popolo di Israele ad abiurare la propria fede. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, si presenti e lo difenda in tribunale!"  Non venne trovata per lui nessuna discolpa e per questo lo appesero alla vigilia della Pasqua... (Il grande maestro) Ulla replicò: tu credi che Gesù sia stato uno di quelli che si possono difendere? Non era forse un Mesith, uno di quelli che conduce il popolo ad adorare gli idoli, dei quali la Scrittura dice: - Non avere misericordia  e non giustificare la sua colpa! (Dt 13,8)". Ma il caso di Gesù era comunque diverso, perché il suo modo di fare era improntato alla regalità (era cioè influente). I nostri rabbini ce l'hanno insegnato: "Gesù aveva cinque discepoli: Matteo, Nakai, Nezer, Buni e Todah"» (T.B. Sanh 43a). È opinione abbastanza diffusa che il testo sia una deformazione polemica della tradizione cristiana. Gesù viene presentato come mago, seduttore e agitatore politico, allo scopo di giustificarne la condanna. Una cosa è tuttavia chiara: verso il secolo III (Rabbi Ulla è vissuto in questo secolo) le autorità rabbiniche non negavano una certa attività taumaturgica di Gesù, interpretandola come magia.

          Lo stesso trattato del Talmud riporta un'altra notizia: «I nostri rabbini ci insegnano: che la mano sinistra rifiuti, ma quella destra attragga sempre, non come Eliseo che respinse Gejazì con entrambe le mani, e non come Rabbi Yoshua ben Perahjah, che respinse Gesù (il Nazareno) con entrambe le mani» (T.B. 107b). Le parole in corsivo non appaiono in tutte le versioni disponibili del testo.

          Queste due notizie del Talmud si possono considerare tannaitiche, vale a dire anteriori al Mishnah (la compilazione giuridica della legge orale ebraica poi confluita nel Talmud - NdT) e sono importanti dal punto di vista storico, perché danno per comprovata l'esistenza storica di Gesù, sebbene ne interpretino l'attività come opera di magia e la missione come quella di un adescatore e agitatore politico.

 

b) Gli storici romani

 

          Gli storici romani dei primi due secoli della nostra era, Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio e Dione Cassio danno una qualche informazione sui cristiani, direttamente, e indirettamente di Gesù.

          La testimonianza più antica che si conserva di fonte pagano-romana sui cristiani e Gesù è quella dello storico Plinio il Giovane (62-113 d.C.) che (da governatore della Bitinia-NdT), su indicazione di Traiano, proibì la formazione di «associazioni religiose private», ritenendo sospette le riunioni notturne (prima del sorgere del sole), per quanto innocenti fossero gli inni che in queste cerimonie i cristiani intonassero a «Cristo, come se fosse un Dio» e per quanto del tutto inoffensivi fossero i cibi che condividevano insieme.

          Anche la testimonianza di Publio Cornelio Tacito (61-117 d.C.) su Gesù è molto importante. Dopo l'allusione alle voci che indicavano Nerone come colpevole del disastroso incendiò che aveva ridotto in cenere Roma nell'anno 64 della nostra era, scrive: «...Nerone diede la colpa e punì con suprema crudeltà coloro che la gente chiamava cristiani e che, per le loro scelleratezze, erano odiati da tutti. Questo nome ha avuto origine da Cristo, che fu condannato a morte sotto il regno di Tiberio dal governatore Ponzio Pilato. L'oltraggiosa superstizione, momentaneamente repressa, tornava a fare irruzione non solo dalla Giudea, origine del male, ma anche dalla stessa Urbe (cioè Roma), luogo nel quale approdano da ogni dove e si celebrano tutti i tipi di atrocità e vergogne» (Annali 15,44). Il dato della morte di Gesù, chiamato il Cristo, in conseguenza di una sentenza del governatore Ponzio Pilato, è ritenuto autentico da tutti.

          Svetonio (morto intorno al 160 d.C.) nella sua Vita Claudii (25,4) fa riferimento all'espulsione degli ebrei usando queste parole: «Poiché gli ebrei provocano continui disordini su istigazione di Khrestus, li espulse da Roma». Riguardo a quest'ultimo testo, resta il dubbio di sapere se Khrestus si riferisce a un individuo con questo nome oppure a Khristos (=Cristo) (8). Nella Vita Neronis (16,2) Svetonio riferisce inoltre che i cristiani seguivano una nuova e maligna superstizione e che erano stati espulsi da Roma da Nerone.

          Dione Cassio, infine, che scrive la sua storia di Roma in ottanta libri, parla dell'esecuzione del console Flavio Clemente e della proscrizione di sua moglie, entrambi accusati di ateismo e entrambi morti insieme ad altri a causa della loro fede ebraica (Epitome 67, 14). Un dato che si potrebbe riferire alla persecuzione dei cristiani sotto l'imperatore Domiziano, di cui si parla nella prima lettera di Clemente (9).

          In ogni caso, le notizie degli storici romani sui cristiani confermano l'esistenza storica, la morte sotto Ponzio Pilato e l'auge del cristianesimo, che deve il suo nome a Gesù che veniva chiamato Cristo (10).

          La scarsità di notizie su Gesù nelle fonti non cristiane dimostra che Gesù non venne considerato da queste ultime un avvenimento di importanza storica tale da meritare di esser tramandato alla storia. Nemmeno le fonti cristiane lo considerarono tale. Nessuna di queste infatti descrive come ideatore di un programma politico né come capo di un movimento popolare in lotta contro il governo romano oppressore, e neppure come figura da contrapporre all'imperatore di Roma. Tuttavia si può sostenere anche il contrario: neppure i vangeli servono granché a saperne qualcosa di più sull'Impero romano e i grandi problemi della politica mondiale.

          Se dunque le fonti ebraiche e pagano-romane sono così avare di dati su Gesù di Nazaret, e i vangeli - documenti per la catechesi e la predicazione cristiana primitiva, e non biografie nel senso moderno della parola - sono una difficile piattaforma per avvicinarsi al Gesù storico, dobbiamo dunque rinunciare al recupero della sua figura storica?

          Non sembra che abbiano imboccato questa direzione le rotte della storia della ricerca né che la possano imboccare in futuro. Anzi, tutto il contrario. Tanto da poter affermare che, negli ultimi vent'anni, la ricerca su Gesù è venuta acquisendo un impulso straordinario. Ai nostri giorni si sono moltiplicati i lavori che hanno abbandonato lo stretto ambito degli specialisti per rivolgersi invece al grande pubblico nei più prestigiosi giornali del mondo - come l'inglese The Times e l'americano New York Times - e per approdare sugli schermi del cinema e della televisione. Alcuni libri sul Gesù editi di recente sono diventati dei best-sellers, parliamo di Gesù, vita di un contadino ebreo di J.D. Crossan (11). Per non parlare poi dei nuovi vangeli apocrifi, che sebbene infarciti di fantasie, come e anzi ancor più di quelli antichi, sono proliferati negli ultimi anni riscuotendo un incredibile successo di vendite nell'ordine delle centinaia di migliaia di copie. Parliamo de Il Vangelo dell'Acquario, di Gesù Cristo, di L.H. Dowling, o Il Cavallo di Troia in quattro volumi di J.J. Benitez, che ha raggiunto una tiratura complessiva di quasi un milione di copie (12).

          Questa rifioritura contemporanea degli studi sul Gesù della storia è l'ultima tappa di una fase di ricerca che risale al XVIII secolo, definita «Storia della ricerca  sulla vita di Gesù», dal tittolo dell'opera di A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung (Tubinga, 1913) (13).

 

2. Tappe della ricerca sul Gesù della Storia

 

          Fino a tutto il XVIII secolo inoltrato, vi erano pochi dubbi sul valore storico dei vangeli, convinti come si era che, per il loro carattere di testi ispirati e per gli autori che li avevano scritti, riflettessero le circostanze storiche della vita di Gesù. La principale preoccupazione degli studiosi era stata quella di dimostrare che non vi erano contraddizioni tra di loro (14).

          La ricerca storica su Gesù comincia in realtà verso la fine del XVIII secolo e si sviluppa fino ai nostri giorni in tre tappe ben distinte.

          La prima va da Reimarus a Bultmann, ed è chiamata «The Old Quest for the historical Jesus» o più semplicemente «First Quest» (cioè: vecchia o prima ricerca sul Gesù della storia). All'interno di questa prima fase, gli anni intercorsi tra la pubblicazione del libro di A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung («Storia della ricerca  sulla vita di Gesù») (Tubinga, 1913) - pubblicato in precedenza con il titolo di Von Reimarus zu Wrede («Da Reimarus a Wrede») (1906) - fino alla fine della seconda guerra mondiale sono un periodo in cui non si fa ricerca storica su Gesù («No Quest Period»). Regnava infatti la convinzione che era impossibile arrivare al Gesù della storia attraverso i vangeli, dal momento che il cristianesimo si basa sulla fede in Cristo e non sulla persona storica di Gesù. L'autore che maggiormente ha influenzato questa tappa è stato Rudolf Bultmann.

          La seconda tappa ha come estremi cronologici i discepoli di Bultmann, da un lato, e l'anno 1980 dall'altro. In questo periodo, in modi diversi e con proposte metodologiche molto differenti, si ripropone il ritorno alla ricerca sul Gesù della storia a partire dai vangeli, come base valida di accesso. Questa fase viene chiamata «The New Quest» («la nuova ricerca»), definizione dovuta al tirolo del libro di J.A. Robinson, A New Quest for the historical Jesus (Naperville 1959).

           La terza tappa è quella che dal 1980 arriva ai giorni nostri e che viene definita «The Third Quest» («la terza ricerca»).

 

1) La prima tappa: Da Reimarus a Bultmann

 

          Il primo a sollevare il problema - particolarmente scottante fino ai giorni nostri - della distinzione tra il Gesù storico e l'immagine che di lui trasmettono i vangeli fu Hermann Samuel Reimarus (1694-1768) (15). Questo professore tedesco nel suo scritto Von dem Zweck Jesu und seinen Jünger («Sul fine di Gesù e dei suoi discepoli»), pubblicato postumo nel 1778 dal suo discepolo Gotthold Lessing per timori di incorrere in rappresaglie, sosteneva che il Gesù della storia era stato un ebreo rivoluzionario, che aveva annunciato l'imminente avvento del Regno di Dio nel corso della sua stessa generazione; un regno inteso in chiave politica, il cui obiettivo era quello di dare al popolo ebreo l'indipendenza da Roma sotto un re Messia. Gesù, per Reimarus, non aveva voluto in alcun modo fondare una nuova religione, ma piuttosto riaffermare quella ebraica; semita e di orientamento anti-gentili, aveva proibito ai suoi apostoli di predicare fuori da Israele; era entrato in Gerusalemme per mettersi alla testa di una ribellione di carattere politico, ma aveva fallito il tentativo ed era stato condannato a morte, sentendosi abbandonato da Dio. Dopo la sua morte, i discepoli ne avevano sottratto il cadavere, si erano inventati la dottrina della resurrezione e della parusia e, imbevuti delle idee apocalittiche ebraiche, lo avevano dichiarato Messia in linea con il libro di Daniele (cap.7). Per Reimarus, il Gesù dei vangeli è un'invenzione dei discepoli e il cristianesimo, di conseguenza, ha le sue fondamenta su una frode.

          L'apporto di Reimarus, comunque, ha comportato una vera rivoluzione nell'interpretazione dei testi neotestamentari, dal momento che fino a quando è apparsa la sua opera, si credeva che le narrazioni evangeliche fossero documenti storici che riflettevano con fedeltà i detti e gli atti di Gesù.

 

          Tra il pietismo e il razionalismo

 

          In contemporanea o a seguito di questo testo di Reimarus, si iniziarono a scrivere «Vite di Gesù», alcune di carattere romantico, come quelle di J.J. Hess (1774), F.V. Reinhardt (1781) e J.G. Herder (1797), che cercavano di spiegare gli elementi soprannaturali dei vangeli in modo razionale, proiettandovi la cosmovisione dell'Illuminismo e presentando un Gesù che parla in nome della ragione, dell'amore e dell'umanesimo. A queste sono seguite altre di taglio fantastico-romanzesco come quelle di K.F. Bahrdt (1786) e K.H. Venturini (1806), nelle quali, curiosamente, entrambi sostenevano che Gesù era stato un esseno, e altre di orientamento puramente razionalista come quella di H.E.G. Paulus (1828), inclusa nel primo tomo del Commentario ai tre primi vangeli, in cui si dava una spiegazione razionalista dei vangeli e altre manifestazioni soprannaturali. Secondo Paulus, i miracoli si devono spiegare all'interno dei limiti della ragione: quando Gesù camminò sulle acque, fu un'illusione dei discepoli; la trasfigurazione, l'effetto di un controluce in montagna; la resurrezione non fu tale ma solo una morte apparente; l'ascensione, in realtà, un saluto di Gesù ai discepoli, durante il quale si frappone una nube che gli consente di scomparire. Il vero miracolo è Gesù stesso.

          Un passo avanti nella ricerca viene compiuto con la «Vita di Gesù» del padre dell'ermeneutica moderna F. Schleiermacher (1768-1834) - pubblicata postuma nel 1864 a cura di un alunno basatosi sulle note raccolte durante le sue lezioni - nella quale formula già chiaramente la distinzione - che sarebbe stata poi seguita fino ai nostri giorni - tra il Gesù della storia dei sinottici e il Cristo della fede del quarto vangelo, dando priorità a quest'ultimo rispetto all'altro e scrivendo più che la vita del «Gesù della storia», una vita del «Cristo della fede».

          D.F. Strauss (1804-1874), della scuola di Tubinga, diede una svolta alle ricerche affermando nella sua opera in due volumi Das Leben Jesu kritisch bearbeitet («La vita di Gesù elaborata criticamente») (Tubinga 1835-1836) l'impossibilità di scrivere una vita di Gesù, negando la credibilità storica dei vangeli, dati gli elementi soprannaturali e le contraddizioni che vi sono. Per l'autore le «vite di Gesù» scritte in precedenza, erano state o spiegazioni indulgenti e ortodosse, che accettavano l'intervento del soprannaturale nella storia umana, oppure spiegazioni razionali di avvenimenti apparentemente soprannaturali. F.C. Baur (Kritische Untersuchungen über die kanonischen Evangelien - Ricerche critiche sui vangeli canonici - Tubinga 1847) aveva indicato anche una terza via: quella della spiegazione mitica. Seguendo il suo maestro, Strauss ritiene che il concetto di mito è un elemento chiave per la corretta comprensione delle narrazioni evangeliche, superando dunque l'opposizione razionale-soprannaturale, per parlare dei vangeli come «narrazioni mitiche». Il «mito» viene inteso più o meno come midrash, cioè «un rivestimento in forma storica di idee religiose, plasmate dal potere creativo della leggenda, e incarnate in una personalità storica». Per Strauss i vangeli presentano chiaramente un avvenimento storico, però talmente trasformato e abbellito dalla fede della Chiesa che lo trasmette, da risultare impossibile scrivere la vita di Gesù a partire dal loro testo, poiché rinunciano a considerarlo come parte della storia e riferiscono soltanto frammenti sconnessi della sua vita (16).

          La tradizione dogmatica precedente a Strauss ruotava intorno alla problematica del carattere naturale o soprannaturale della vita di Gesù, presupponendo che la sua vita avesse rotto l'ordine naturale del mondo con i suoi miracoli, la pasqua e la realtà ultraterrena. Strauss prova a dimostrare nella sua opera che la vita di Gesù si mantenne all'interno dell'ordine naturale del mondo, respingendo sia l'idea dell'intervento di Dio in esso sia la possibilità di incarnazione. L'elemento soprannaturale va cercato nel campo della fede che «interpreta» questo Gesù come entità divina, e quindi a tutta la vita di Gesù dalle sue origini fino alla sua morte va applicata la teoria del mito. L'immagine che di Gesù offre Strauss è quella di un ebreo che rivendica per il sé il messianesimo in un contesto escatologico. Forse ancor più importante della sua critica radicale, è stata la definitiva distanza frapposta tra i sinottici e il quarto vangelo per quanto riguarda la valutazione del Gesù della storia. Strauss sosteneva che il quarto vangelo rappresentava una forma più evoluta del mito e della trama leggendaria intorno a Gesù.

          Per Strauss, come del resto per Schleiermacher, si doveva scegliere tra il Gesù storico e il Cristo soprannaturale; per entrambi i vangeli non registrano tanto un'informazione storica su Gesù quanto le concezioni ideologiche dei primi cristiani (17).

          Quasi ottant'anni più tardi, A. Schweitzer (1875-1965) scrive la sua Geschichte der Leben-Jesu-Forschung («Storia della ricerca sulla vita di Gesù») (Tubinga 1913), pubblicata in precedenza con il titolo di Von Reimarus zu Wrede («Da Reimarus a Wrede») (1906), nella quale sostiene anch'egli l'impossibilità della ricerca sul Gesù della storia, non perché gli autori dei vangeli non siano obiettivi, ma perché il vangelo non contiene sufficienti informazioni biografiche. Schweitzer, nel cercare di collocare Gesù nella storia, lo inserisce nel movimento apocalittico ebraico, considerandolo un profetta apocalittico che sale a Gerusalemme per morirvi ed accelerare in questo modo la venuta del Regno di Dio.

          Dopo Schweitzer, l'idea che fosse possibile arrivare al Gesù della storia e scriverne la vita attraverso i materiali evangelici andò perduta, e la prima tappa della ricerca sulla vita di Gesù (The Old Quest) si considerò conclusa. Nell'opera ricordata, Schweitzer constata, di fatto, il fallimento dei tentativi di scrivere la vita di Gesù da parte della scuola liberale con queste parole: «Alla ricerca sulla vita di Gesù è successa una cosa curiosa. Nacque con lo spirito di trovare il Gesù storico e credette di poterlo restituire al nostro tempo com'era stato: cioè come maestro e salvatore. Sciolse i lacci che da secoli lo tenevano prigioniero nella rocca della dottrina della Chiesa, e si rallegrò nel vedere che la sua figura riacquistava movimento e vita mentre sembrava che il Gesù storico si stesse avvicinando. Però questo Gesù non si è fermato, è passato oltre la nostra epoca per tornare alla sua... Si è perduto nelle ombre dell'antichità, e oggi Gesù ci appare così come si presentò sul lago a quegli uomini che non sapevano chi era: come lo Sconosciuto e Innominato che dice: "Seguimi"» (18).

 

La questione sinottica

 

          La ricerca sulla vita di Gesù avrebbe deviato nel corso degli anni successivi verso la questione sinottica, il cui obiettivo è di «determinare i rapporti esistenti tra i vangeli sinottici e l'ordine cronologico in cui furono scritti». La ricerca su Gesù passa così dall'ambito fondamentalmente teologico, nel quale si discuteva il carattere miracolistico di Gesù e non della sua vita, al campo della critica letteraria o della ricerca delle fonti autentiche in cui si conserva il ricordo della storia e delle parole di Gesù: i vangeli.

          Fino ad allora, seguendo la tradizione della Chiesa, si era ritenuto che quello di Matteo fosse il vangelo più antico. Una supposizione messa in dubbio dall'ipotesi di due fonti, formulata in modo indipendente ma contemporaneo da Ch.H.Weisse (19), discepolo di Strauss, e da Ch.G. Wilke (20) nel 1838. In base a questa teoria, i vangeli di Matteo e Luca vennero stesi a partire da due fonti: il vangelo di Marco e una collezione di detti o insegnamenti di Gesù, oggi andata perduta. Solo a partire da queste due fonti è possibile ricostruire la vita di Gesù. Si deve inoltre ammettere che anche Matteo vi immette del proprio materiale, peraltro più abbondante in Luca.

          H.J. Holtzmann (1832-1910) in Die sinoptischen Evangelien. Ihr Ursprung und geschichtlicher Charakter («I vangeli sinottici. La loro origine e carattere storico») (Lipsia 1863) insisterà soprattutto sul valore storico del vangelo di Marco, una delle due fonti citate (21).

          Fu poi Johannes Weiss a dare nel 1890 il nome di Q (dal tedesco Quelle, fonte) alla collezione di detti (in greco, logia)(22). Per Weiss le vite di Gesù avevano ruotato fino ad allora intorno a tre alternative: l'ammissione dell'elemento storico o del soprannaturale; la scelta del vangelo di Giovanni o dei sinottici per accedere al Gesù della storia, ed interpretazione escatologica o etico-religiosa della persona di Gesù; egli si decanta attraverso la via escatologica: il Regno di Dio appartiene al futuro; Gesù ne annuncia solo la venuta e attende un intervento soprannaturale di Dio. Se il Regno non viene, lo si deve solo all'impertinenza degli ebrei. Per cancellare i peccati del popolo, Gesù offre la sua vita come riscatto. Dopo la sua morte ritornerà entro una generazione, con lo splendore del Messia annunciato da Daniele. L'avvento del Regno sarà preceduto da un giudizio.

          A parere di tutti questi autori si deve prescindere dal vangelo di Giovanni come fonte di informazione storica, essendo un'opera eminentemente teologica.

          A fare un passo avanti fu W. Wrede (1859-1906) nella sua opera Das Messiasgeheimnis in den Evangelien («Il segreto messianico nei vangeli») (Gottinga 1901) con l'argomentazione che questi ultimi non sono opere con pretese storiche, ma teologiche; il risultato è l'impossibilità perciò di scoprirvi il Cristo storico. Per Wrede Gesù, nel corso della sua vita, non si proclamò mai Messia; furono i discepoli, dopo la sua morte, a riconoscerlo come tale, inserendo il tema del segreto messianico nel più antico dei vangeli, quello di Marco. Il collegamento tra la tradizione anteriore a Marco, che presentava Gesù come maestro e traumaturgo, e la concezione messianica della comunità obbligò l'evangelista a creare un collegamento che unisse entrambi gli elementi attraverso l'elaborazione del tema del segreto messianico, invenzione letteraria della comunità cristiana primitiva, ripresa da Marco che stese il suo vangelo non da storico obiettivo, ma come un teologo che scrive facendo proprio il punto di vista della fede.

          Martin Kähler in Der sogenannte historiche Jesus und der geschichtliche, biblische Christus («Il cosiddetto Gesù della storia e il Cristo storico biblico») (1892-1896) si pone il problema del Gesù storico quale conseguenza della confusione creata dalle vite di Gesù redatte dai liberali, dai razionalisti e dai seguaci di Strauss. Se il fondamento scientifico della vita di Gesù è così dubbio, dove andrà a finire la fede in lui? si domanda Kähler. Proseguendo su questa  strada, egli insiste sulla distinzione già nota tra il Gesù della storia e il Cristo della fede o del kerygma (23). Per Kähler, del Gesù della storia possiamo saper ben poco sotto il profilo scientifico, però vi è sicuramente un minimo di verità che non può essere eliminata neppure dalla scienza. Gesù fu un uomo come tutti, ma a differenza di noi  fu il Cristo di Dio. E su questo poggia la nostra fede. Per Kähler, quello autentico è il Cristo che offrono i vangeli, interpretato alla luce della fede; il Gesù della storia è irrilevante per la fede. Quello che di lui ci interessa non sono i fatti storici, al centro degli interessi della ricerca della Scuola liberale, bensì l'interpretazione di questi alla luce della fede, il loro valore e significato salvifico nei nostri confronti. In questo modo si dichiara non solo impossibile, ma anche non necessaria l'impresa di scrivere una vita di Gesù.

         

          La Scuola della Storia delle Religioni

 

          Sebbene in modo completamente diverso, un Cristo della fede del tutto simile emerge anche dalla ricerca portata avanti dalla Scuola della Storia delle Religioni. Per questa scuola di pensiero non basta più studiare il peculiare genere letterario dei vangeli o la loro interdipendenza; il cristianesimo va studiato come un fenomeno religioso ben inserito nell'insieme della storia delle religioni, applicandone allo studio i principi comparativisti della fenomenologia della religione. Il cristianesimo si presenta perciò come una delle molte religioni che proliferavano nell'Impero romano. Così R. Reitzenstein si propose di far luce il più possibile con paralleli orientali sulle origini dei culti ellenistici, e di conseguenza del cristianesimo. Nel suo saggio Die hellenistichen Mysterienreligionen, ihre Grundgedanken und Wirkungen («Le religioni misteriche ellenistiche, le loro idee basilari ed effetti», Lipsia-Berlino 1910) descrisse il supposto processo di ellenizzazione del cristianesimo primitivo arrivando a tre conclusioni che riguardano lo studio del Nuovo Testamento: 1) la religione ellenistica e quella orientale esercitarono un profondo influsso sulla teologia del Nuovo Testamento, in particolare su san Paolo; 2) l'annuncio (kerygma) e il culto della Chiesa primitiva dipendono dalle religioni misteriche e dal gnosticismo, e 3) l'idea del cristianesimo primitivo riguardo alla redenzione attraverso la morte e resurrezione di Cristo venne presa dal mito del redentore gnostico precristiano (24).

          Su queste piste si sarebbero incamminati i lavori successivi, come quelli di W. Bousset (1865-1920), senza dubbio il principale rappresentante della Scuola della Storia delle Religioni in quell'epoca. Nel suo commentario all'Apocalisse Die Offenbarung Johannis. Neu Bearbeitet («L'Apocalisse di Giovanni. Nuova elaborazione») (Gottinga 1896), Bousset applicò per la prima volta in modo sistematico questi presupposti, chiarendo numerosi punti oscuri del testo attraverso di un ricco materiale comparativo.  La sua opera principale Kyrios Khristos. Geschichte des Christusglaubens von den Anfängen des Christentum bis Irenaeus («Kyrios-Christos. Storia del Cristo della fede dagli inizi del Cristianesimo a Ireneo») (Gottinga 1913) disegna lo sviluppo del pensiero cristiano fino a Ireneo. Secondo Bousset, Paolo e i suoi successori trasformarono il cristianesimo primitivo in una religione misterica. Molti membri delle comunità cristiane primitive erano stati in precedenza adepti di religioni misteriche, e ora adoravano un nuovo dio, Gesù, come Kyrios, titolo comunemente dato al dio-eroe nella liturgia e nei riti dei culti misterici. Bousset partiva dal presupposto - naturalmente dopo una minuziosa analisi della tradizione evangelica - che la dogmatica ebraica sul Figlio dell'uomo era stata incorporata in Gesù, e a partire da questo si era plasmata la fede della comunità in Palestina. Accanto a questo gruppo, però, c'era anche una comunità ellenistica proveniente dal paganesimo. In seno a quest'ultima cominciò l'adorazione di Gesù come Kyrios. Questa denominazione ebbe la sua origine nel culto liturgico, per influsso (e contrapposizione) della venerazione a divinità cultuali estranee. Così, invece della speranza in un Figlio dell'uomo che avrebbe dovuto venire, fa la sua comparsa la nuova adorazione del Signore celeste, cosa che in un primo momento costituì un pericolo per l'escatologia.

          Questa particolare insistenza sull'ambiente ellenistico venne corretta dall'articolo di J. Weiss «Das Problem der Entstehung des Christentums» («Il problema della nascita del cristianesimo»), pubblicato in Archiv für Religionswissenschaft, 16 (1913); pp. 423-515, edito come libro dopo la sua morte - con alcune aggiunte - da R. Knopf, Das Urchristentum, («Il cristianesimo primitivo») (Gottinga 1914). Facendo propri i requisiti metodologici della scuola storicista, Weiss insisteva sul fatto che non era possibile comprendere storicamente il cristianesimo se non si mettevano in risalto le sue differenze sostanziali con i culti misterici e il suo ancoramento alla mentalità di Gesù, profondamente ebraica. In questo modo Weiss tentò di gettare un ponte tra due concezioni quasi antagoniste del cristianesimo primitivo: quella ellenistica e quella ebraica.

          La storia comparata delle religioni dovrebbe portare a una critica storica radicale del materiale evangelico. Così J. Wellhausen, ricercatore che si era dedicato principalmente all'Antico Testamento, nella sua Israelitische und jüdische Geschichte («Storia israelita e giudaica) (Berlino 1894) aggiunse un ultimo capitolo sul vangelo in cui Gesù viene presentato come un predicatore dell'amore in un Regno di Dio che è già cominciato, e che ha una relazione con Dio da figlio a Padre come essere umano qual è. Per Wellhausen, il titolo di «Figlio dell'uomo» sulla bocca di Gesù significava soltanto «uomo». Dopo la sua morte e resurrezione la comunità dei credenti trasformò l'appellativo in titolo messianico e gli ascrisse una filiazione divina reale. I primi cristiani finirono con il trasformare l'immagine del Gesù terreno, unendo la sua persona alle concezioni escatologiche dell'epoca. Più tardi, J. Wellhausen avrebbe ribadito in Einleitung in die drei ersten Evangelien («Introduzione ai primi tre vangeli») (Berlino 1905) che i vangeli non hanno alcun valore come fonte per la storia di Gesù, ma sì come testimonianza della fede della comunità cristiana primitiva. Secondo quest'ultimo autore, la tradizione evangelica, molteplice e variegata, venne plasmata nei nostri vangeli grazie a una selezione dogmatica, anche se il loro ordinamento e la loro disposizione fu una creazione personale degli evangelisti (25).

 

          La storia delle forme

 

          Dopo la Prima guerra mondiale, K. L. Schmidt, in Der Rahmen der Geschichte Jesu («Il quadro della storia di Gesù») (Berlin 1919), M. Dibelius, in Die Formengeschichte des Evangeliums («La storia delle forme del vangelo) (Tubinga 51966),  e R. Bultmann, in Die Geschichte der synoptischen Tradition («Storia della tradizione sinottica») (Gottinga (6) 1964), applicarono ai vangeli sinottici il metodo della storia delle forme (o critica delle forme, come è stata definita più di recente), che H. Gunkel aveva applicato con grande efficacia all'Antico Testamento. Questo metodo presenta quale presupposto fondamentale il fatto di considerare che «le narrazioni su Gesù circolavano oralmente prima di fissarsi per scritto». Una volta messe per scritto, servirono per la formazione e la catechesi della comunità cristiana primitiva. Erano perciò il prodotto di uno sforzo creativo della comunità, più che di un singolo evangelista. Quest'ultimo, infatti, diventato di fatto redattore, non solo riflette il proprio pensiero ma anche quello del gruppo in cui viene a trovarsi. L'inserimento nel vangelo di tali narrazioni sparse fu l'ultimo passo nell'evoluzione di questo processo. I vangeli, perciò, non sono opere unitarie, ma piuttosto raccolte di piccole unità letterarie, collegate l'una all'altra in forma appunto di raccolte. La elaborazione scritta di tutto il materiale disponibile rispose alle necessità delle comunità. Ciascuna delle forme veniva utilizzata in base alle esigenze della circostanza. Gli evangelisti misero insieme queste piccole unità e, collegandole in modo semplice, le trasmisero per scritto in un genere letterario del tutto originale: il vangelo.

          Il compito dell'esegesi consiste nel classificare tali forme, individuando il Sitz im Leben (il contesto vitale) in cui si originarono, per arrivare in questo modo non al Gesù della Storia, ma al contesto della comunità in cui ebbero origine.

          I vangeli non sono perciò delle biografie, quanto piuttosto delle testimonianze della comunità cristiana primitiva, dal momento che la fede pasquale delle comunità esercitò una notevole influenza sulle narrazioni relative alla vita di Gesù (26).

 

          R. Bultmann

 

          Quando entra in scena  R. Bultmann, con Die Geschichte der synoptischen Tradition («Storia della tradizione sinottica») (Gottinga 1921), e Jesus (Tubinga 1926), la strada per accogliere le sue teorie era già stata aperta. Molti problemi venivano discussi ancora tra i ricercatori protestanti che lavoravano sul Nuovo Testamento, arrivando a conclusioni tra loro diverse: era ancora in atto un'infervorata polemica tra coloro che ribadivano l'impossibilità di ricostruire il Gesù della storia in base alle narrazioni sinottiche della sua vita, e i liberali convinti che invece fosse possibile; il concetto di mito applicato ai vangeli era ormai generalmente accettato; la scuola escatologica aveva già fatto la sua comparsa con Schweitzer; si era arrivati alla separazione del Gesù della storia dal Cristo della fede; veniva ribadita la differenza tra historisch (quanto storicamente avvenuto) e geschichtlich (l'avvenimento storico in quanto salvifico); era stato accettato il potere creativo letterario della comunità primitiva; si era ridimensionata l'importanza della storia come base della fede; si era studiato l'ellenismo in riferimento alla formazione del kerygma cristiano; e da ultimo si erano applicate allo studio della Bibbia le idee filosofiche dell'epoca (27).

          Facendosi interprete della ricerca realizzata prima di lui e applicando il metodo della storia delle forme ai vangeli, R. Bultmann si mostrò scettico di fronte alla possibilità di recuperare scientificamente il Gesù della storia, fino al punto di considerare irrilevante e illegittimo il volerlo avvicinare: irrilevante, perché la storia di Gesù non ha importanza per la fede cristiana che inizia con la Pasqua; illegittimo, perché il ricorso alla storia altera la natura stessa della fede che si fonda solo su se stessa. Per Bultmann, il ricorso alla storia per giustificare la fede suppone un'insana ricerca di sicurezza, simile a quella che si ricerca con le opere (si tenga presente che Bultmann parte dalla tesi protestante della «giustificazione per fede, senza opere»). I vangeli sono espressione della fede post-pasquale delle prime comunità cristiane e non documenti storici per accedere al Gesù della storia. Ciò che importa, pertanto, è il kerygma, in quanto annuncio di salvezza di Dio per mezzo di Gesù, che offre il perdono e chiama a una nuova vita. Bultmann si interessa più che a Gesù in sé stesso, a quello che Gesù rappresenta per noi. Gesù è colui che annuncia il giudizio finale di Dio sul mondo. Tra il kerygma (il Gesù predicato) e la persona storica di Gesù (il Gesù predicatore) non vi è continuità; la fede, perciò, va intesa e va vissuta ai margini della storia di Gesù (28).

          J. Jeremias - Der Gegenwärtige Stand der Debatte um das Problem des historischen Jesus («La situazione attuale del dibattito intorno al problema del Gesù della storia») (29) - così riassume la posizione di Bultmann: «La storia di Gesù appartiene per Bultmann alla storia dell'ebraismo, non del cristianesimo. Questo grande profeta ebraico presenta certamente un interesse storico per la teologia del Nuovo Testamento, ma non ha alcun significato, né può averlo, per la fede cristiana, dal momento che il cristianesimo ebbe il suo primo inizio con la Pasqua».

 

2) Seconda tappa: ritorno al Gesù della storia

 

          Lo scetticismo radicale manifestato da Bultmann di fronte al Gesù della storia, non venne comunque condiviso da tutti i suoi discepoli - i post-bultmanniani - che ben presto intrapresero nuove strade di ricerca del Gesù della storia, utilizzando non solamente il metodo della storia delle forme, come avevano fatto Dibelius e Bultmann, ma anche quello della storia della redazione che analizza «il modo in cui ciascun evangelista riunisce nel proprio vangelo i diversi materiali presi da fonti orali o scritte». In base a questo metodo, i vangeli non si spiegano più con il semplice assemblamento o unione di tutti questi frammenti letterari antecedenti, quanto con la mano e il talento di un redattore che ha una propria personalità, capace di mettere insieme questi materiali, riuscendo a risistemarli in forma di opera letteraria con uno stile personale alla luce delle proprie concezioni, della propria teologia e di quella della propria comunità (30).

          I due metodi sono stati utilizzati come base dai ricercatori della seconda tappa denominata The New Quest, iniziata intorno al 1953 e protrattasi per tutto il decennio degli anni Settanta. L'obiettivo degli autori in questa fase era ricostruire il messaggio originale di Gesù e confrontarlo con la proclamazione della Chiesa primitiva per verificare fino a che punto vi era o meno continuità tra i due.

          Tutti gli autori coincidono grosso modo in due punti:

          1) Il rifiuto dei presupposti della ricerca liberale su Gesù, la quale si muove su una via intermedia tra il razionalismo, che fa di Gesù uno di noi, e il soprannaturalismo, che lo convertono in un uomo divino per conoscere il quale viene richiesto il sacrificio della comprensione e della ragione.

          2) L'accettazione di una certa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, e perciò della legittimità della ricerca sulla storia di Gesù prima della Pasqua.

Questa continuità viene definita dagli studiosi della New Quest come «Cristologia implicita o indiretta», un'espressione introdotta da H. Conzelmann, per affermare che, sebbene Gesù non avesse usato nessuno dei titoli cristologici attribuitigli dai vangeli, essi vengono considerati dai ricercatori come un'esplicitazione della sua pretesa storica.

          Questa seconda tappa della ricerca storica su Gesù ha il suo punto di partenza nella conferenza tenuta nel 1953 da E. Käsemann a Marburgo e pubblicata con il titolo «Das Problem des historischen Jesu» («Il problema del Gesù storico»), in Zeitschrift für Theologie und Kirche, 51, (1954), pp.125-153; appartengono a questa fase altri noti autori come, tra gli altri, J. Jeremias, G. Bornkamm, H. Conzelmann, J. A. Robinson e H. Braun, che sostengono un ritorno al Gesù della storia (31).

          Pur senza rinunciare a tutti i presupposti del suo maestro Bultmann, E. Käsemann ribadì che la rottura tra il Cristo della fede e il Gesù della storia poteva arrivare a trasformare Cristo in un mito, senza un referente storico, come era avvenuto nella tappa precedente, e ad accantonare l'importanza della storia per la fede. Sua è la brillante affermazione che «non è possibile comprendere il Gesù terreno, se non a partire dalla Pasqua... ma neppure si può capire adeguatamente il significato della Pasqua, se si prescinde dal Gesù terreno» (32).

          Per Käsemann, la vita del Gesù terreno è di somma importanza per la fede, dal momento che la Chiesa primitiva non era propensa a lasciare che il mito prendesse il posto della storia, né a permettere che un essere celestiale prendesse il posto dell'uomo di Nazaret. A suo avviso, la croce e la resurrezione di Gesù sono punti centrali del dibattito sul problema. Matteo, Marco e Giovanni includono la storia nel kerygma, accentuando la continuità tra Gesù e Cristo, salvando il Gesù della storia dal rischio di convertirsi in una mera astrazione. Il Gesù di Luca, per Käsemann, è storico perché Luca converte la escatologia in storia della salvezza. La rivelazione invade la storia e occupa un posto al suo interno. Lo stesso quarto vangelo, con la sua enfasi sull'anti-docetismo, non può fare a meno di accentuare che Gesù Cristo «si è fatto uomo». La vita del Gesù della storia è parte della fede cristiana, perché il Signore terreno e quello celebrato sono lo stesso. La fede di Pasqua è il fondamento del kerygma pasquale, però non la prima né unica fonte del suo contenuto. Essa ha dovuto inglobare la vita di Gesù nel kerygma annunciato. Da qui la convinzione di Käsemann -contrariamente a quanto sostenuto da Bultmann - che la ricerca del Gesù della storia sia teologicamente legittima e possibile, anche nei limiti di una critica radicale, perché il vangelo conserva ancora molti elementi storici. In base a tutto questo, Käsemann si è impegnato in una ricerca sui vangeli che portasse a verificare la continuità tra la predicazione di Gesù e quella degli apostoli, ribadendo che «dall'oscurità della storia di Gesù fioriscono certi tratti caratteristici della sua predicazione, riscontrabili con relativa esattezza, associati dal cristianesimo al suo stesso messaggio» (33).

          J. M. Robinson (A New Quest for the Historical Jesus, Naperville 1959) non accettò la ricerca di stampo liberale precedente, considerandola metodologicamente impossibile e teologicamente illegittima, e al suo posto propose una ricerca basata su un nuovo concetto di «storia». Il nuovo indirizzo, ricorrendo al metodo storiografico moderno, si pone come obiettivo l'incontro con il Gesù storico (che non è esattamente lo stesso del Gesù «terreno», ma piuttosto il Gesù conosciuto dalla storia), un incontro esistenziale con la persona per verificare se la comprensione di Gesù che predica o annuncia il kerygma, corrisponde alla comprensione dell'esistenza implicita nel Gesù della storia.

          Da parte sua, G. Bornkamm, docente a Heidelberg, discepolo di Bultmann e successore di M. Dibelius, tre anni dopo la conferenza di Käsemann, nella sua opera Jesus von Nazaret («Gesù di Nazaret») (Stoccarda 1956), applica ai vangeli i fondamenti ideologici di Käsemann, facendo però perno sugli atti del Gesù della storia e sull'impatto prodotto dalla sua personalità nel suo contesto. Käsemann e Bultmann avevano attribuito maggiore importanza allo studio delle parole di Gesù, Bornkamm invece la attribuisce agli atti e rifiuta la posizione di quanti sacrificano totalmente la storicità di Gesù, poiché per la fede il Gesù della storia è necessario (34).

          In modo analogo si esprime J. Jeremias - Das Problem der historichen Jesus («Il problema del Gesù storico») (1960) - replicando ai postulati ideologici bultmanniani, e proponendo un movimento di ritorno al Gesù della storia con l'affermazione che «la base per una cristologia storicamente consolidata non possono essere altro che le parole e gli atti autentici di Gesù (ipsissima verba et facta Jesu)». Per Jeremias e i suoi seguaci la confessione di fede che proclama Gesù come il Cristo (Gesù Cristo) fa riferimento necessariamente al Gesù storico, all'uomo di Nazaret; senza tale riferimento la fede cristiana si trasforma in pura ideologia». L'inizio della nostra fede non risiede nel kerygma, ma nell'evento storico della vita di Gesù. Il ritorno al Gesù della storia non viene motivato soltanto dalla fedeltà alle fonti, ma anche dal fatto che il kerygma annuncia che Dio si è riconciliato con il mondo per mezzo di un avvenimento storico. Secondo Jeremias, non si può separare la storia dal kerygma senza correre il rischio di cadere nell'ebionismo o nel docetismo. Nel suo libro sulle parabole, Jeremias sostiene la possibilità di arrivare a stabilire un contatto con il Gesù storico, affermando che «ciascuna parabola è stata raccontata in un momento determinato della vita di Gesù, in circostanze prodottesi soltanto una volta... Che cosa vuole dire Gesù in quella occasione specifica? Che effetto tendevano a produrre le parole su quanti lo ascoltavano? Queste sono le domande che è necessario porsi per incontrare, per quanto possibile, il senso originario delle parabole di Gesù, ascoltando la voce stessa del Maestro» (35).

          H. Braun - Der Mann aus Nazaret und seine Zeit («L'uomo di Nazaret e il suo tempo) (Stoccarda 1969) - si muove all'interno dello stesso campo del Gesù di Bultmann, però, a differenza di quest'ultimo, è uno storico e non un critico letterario. La sua opera su Gesù è una storia dell'ambiente in cui Gesù visse, di quello che è stato e di quello che ha detto agli uomini. Bultmann credeva nella presenza della parola trascendente di Dio nel messaggio (e nella realtà) di Gesù; comprendere Gesù significava perciò accettare il giudizio di Dio che era venuto a realizzarsi in lui; per Braun, Dio non è altro che la verità della parola di Gesù; basta perciò ascoltare e mettere in atto questa parola che esprime la «nuova libertà» e il dovere dell'amore tra gli uomini. Gesù non è più la parola escatologica di Dio, ma un profeta che ha avuto parole esigenti e di conversione che si traducono nell'imperativo di amore tra gli uomini; in questo modo prefigura l'immagine del Gesù dei teologi della liberazione e si separa definitivamente da Bultmann. Braun accetta il messaggio di Gesù e dimentica il senso della sua pasqua. La cristologia finisce così per trasformarsi semplicemente in un simbolo della verità del messaggio che Gesù ha predicato. Il vangelo si svincola dal piano delle fede in cui è stato vissuto e in cui è stato composto, per ridursi a segno ed espressione dell'autentico divenire esistenziale umano (36).

 

          Criteri di storicità

 

          Al fine di superare lo scetticismo storico bultmanniano, gli autori di questa seconda fase vennero elaborando alcuni criteri di storicità in grado di aiutare a seguire le orme del Gesù della storia, a partire dai testi neotestamentari (37). Ecco come si possono sintetizzare.

          - Criterio della differenza o discontinuità, in base al quale «ogni detto o atto di Gesù che non si inserisca nell'ambiente ebraico del tempo né nel quadro della comunità primitiva, non adattandosi a nessuna delle due situazioni, proviene inequivocabilmente dal Gesù della storia»; questo criterio non è valido al contrario, dal momento che sarebbe assurdo respingere come non storico tutto quello che si inserisce in qualche modo con l'ebraismo o il cristianesimo primitivo. La figura di Gesù infatti può essere delineata per quanto possibile in maniera soddisfacente alla luce delle usanze e delle idee della Palestina del primo secolo.

          - Criterio di attestazione multipla, in base al quale si afferma che «provengono da Gesù determinati temi o idee, se vi è coincidenza non più tra i vangeli (che sono strettamente collegati l'uno all'altro), ma tra le fonti da cui essi hanno attinto i materiali. Marco, Q e i materiali specifici di Matteo e Luca»; vale a dire, se un determinato tema o motivo appare ben attestato in diverse forme letterarie della tradizione. Quel che si ritrova in varie fonti indipendenti, ha più probabilità di essere autentico.

          - Criterio di conformità, continuità o coerenza, così formulato: «stabilito come storico un atto o una parola di Gesù, può essere considerato storico anche ogni atto o parola che concorda con esso». Detto in altre parole, si può accettare come autentico ogni dato che sia coerente con un altro sulla cui autenticità non vi siano dubbi.

          - Criterio linguistico e di ambiente, secondo il quale «ogni dato che sia incompatibile con il contesto linguistico e ambientale di Gesù va respinto». Al contrario, non si può comunque ammettere come autentico qualsiasi dato solo perché riflette le circostanze linguistiche e ambientali del contesto. Questo criterio viene da altri formulato come criterio di antichità, secondo il quale, ha maggiore probabilità di autenticità ciò che si può accreditare come più antico dal punto di vista linguistico e di ambiente.

          Il primato tra questi criteri spetta a quello della differenza, e sebbene essi siano utili e operativi, sorprende comunque constatare come gli autori in pratica non si mettano d'accordo nel decidere se una determinata parola o narrazione evangelica appartenga o meno al Gesù della storia (38).

 

3) Terza tappa (The Third Quest)

 

          Con la vita di Gesù scritta da Braun si aprì la porta verso la terza tappa della ricerca della storia di Gesù, quella cioè che viene definita Third Quest (39).

          Questa tappa si distingue per la sua interdisciplinarità, dal momento che ad affrontare il Gesù della storia non sono solo teologi oppure esegeti, ma anche storici, sociologi, antropologi, provenienti anche da università laiche e non solo da facoltà di teologia; tutti preoccupati non tanto di dimostrare la continuità tra il Cristo della fede e il Gesù della storia, quanto di riscattare la sua immagine da e per la storia.

          Gli autori che si inseriscono in questa fase della ricerca, danno in genere ai vangeli più valore come documenti storici, di quanto veniva loro attribuito nelle tappe precedenti, in alcuni casi equiparandoli come grado di credibilità storica alle biografie greco-romane contemporanee ai vangeli.

          La caratteristica principale di questa nuova tappa è la grande preoccupazione di collocare Gesù nel quadro storico-sociale dell'ebraismo del suo tempo, attraverso il contributo della maggior conoscenza che oggi si ha, delle letterature apocrifa (apocrifi del Nuovo Testamento e testi gnostici di Nag Hammadi), qumranica, rabbinica, e grazie ai risultati ottenuti dagli scavi archeologici, in particolare quelli effettuati nelle zone della Galilea e a Gerusalemme, principali scenari dell'attività pubblica di Gesù. Alcuni degli autori considerano la Q una fonte privilegiata per conoscere storicamente Gesù, arrivando anche a scoprire in essa almeno due stratificazioni (40), indicative dei diversi stadi nello sviluppo della comunità cristiana in Palestina. Il primo, più vicino al Gesù della storia, è costituito da insegnamenti di saggezza sapienziale e mette in luce un Gesù appunto sapienzale; il secondo, uno apocalittico. E siccome nello strato più antico di questa fonte non si trovano detti apocalittici, si è arrivati a mettere in discussione l'immagine di un Gesù apocalittico da parte degli autori collegati alla Third Quest.

          Questi autori ammettono che il cristianesimo alle sue origini fu pluralista in quanto a idee e prassi, e ritengono che quella che si potrebbe definire «ortodossia cristiana» è il risultato della vittoria di una tradizione sulle altre, considerate da quel momento in poi eretiche. Per questo molti ritengono che i vangeli apocrifi, soprattutto quello copto di Tommaso, dal momento che rappresentano una tradizione indipendente, sono altrettanto validi quanto i canonici per recuperare il Gesù della storia.

          Sia i metodi adottati che i risultati ottenuti dagli autori di questa terza tappa - stavolta in maggioranza anglosassoni e non tedeschi come nella seconda - sono i più svariati e molteplici, come vedremo in seguito.

 

          Selezione di autori e opere

         

          La produzione letteraria intorno alla figura di Gesù in questa terza tappa è enorme (41). Descriveremo in sintesi l'immagine di Gesù che emerge dalla lettura di alcune opere degli autori più rappresentativi di questa fase, con il rischio che ogni selezione comporta, e cioè quello di lasciarne per strada altre considerate altrettanto o anche più importanti.

 

          Il Gesù del «Seminario su Gesù» (Jesus Seminar)

 

          Tra tutti gli autori della terza tappa, dobbiamo anzittutto segnalare in blocco i membri del Seminario su Gesù, che a partire dal 1985 riunisce un gruppo numeroso di biblisti e storici nordamericani - Robert W.Funk, Roy W. Hoover, John Dominic Crossan tra i più prestigiosi. Il loro obiettivo è stabilire l'autenticità dei detti di Gesù, attraverso votazioni democratiche, usando schede di diversi colori - rossa, rosa, grigia e nera a secondo del grado di probabilità presentato dalle parole di Gesù in questione (rispettivamente: sicuro, probabile, in fondo attribuibile anche se non nella forma, e infine non proveniente da Gesù). La rivista Time (8-4-1996) definì i risultati di questa ricerca come provocatori e iconoclasti. Tra gli altri obiettivi vi è infatti anche quello di offrire gli esiti della ricerca ai mezzi di comunicazione di massa per arginare l'influsso del fondamentalismo in America. Il loro manifesto è The Five Gospels: The Search for the Authentic Words of Jesus, l'opera curata da R.W. Funk-R. W. Hooever (New York-Toronto 1993), traduzione dei quattro vangeli canonici e del vangelo di Tommaso, in cui si raccoglie il risultato finale delle votazioni - senza le motivazioni - relativo a ciascuno dei detti di Gesù contenuti in questi testi. È stata inoltre pubblicata l'opera The Complete Gospels (Sonoma 1992), traduzione di vangeli canonici e non canonici.

          Anche se non tutti, la maggioranza dei membri del Jesus Seminar descrivono Gesù come un maestro di sapienza non apocalittico, che non si considerò Dio e annunciò il Regno di Dio nel presente, non per il futuro, insegnando e mettendo in pratica forme di comportamento sovversive.

          Per la loro grande notorietà e per la loro drastica revisione delle posizioni ortodosse, i membri del Jesus Seminar sono stati criticati dagli studiosi di impostazione tradizionale (42).

          La terza tappa però non si esaurisce con i lavori collettivi del seminario, ragion per cui è d'obbligo dire qualcosa di più, seppure in sintesi, delle opere degli autori maggiormente rappresentativi.

 

          Gesù, un contadino ebreo itinerante «cinico»?

 

          Uno degli autori più significativi del Jesus Seminar è John Dominic Crossan, il cui testo The historical Jesus. The life of a Mediterranean Jewish peasant (San Francisco 1991) (43) è il più noto e diffuso di tutti quelli pubblicati dagli autori del Third Quest. Come i membri del Jesus Seminar, Crossan opta per l'immagine di un Gesù che descrive come un contadino «cinico» (44), sostenitore di una escatologia realizzata, poiché il Regno di Dio è già presente, ebreo itinerante di villaggio in villaggio nella bassa Galilea, che non si trattiene a lungo in nessun luogo, per non convertirsi in un agente o mediatore tra Dio e quanti lo ascoltano. Il Gesù di Crossan è un radicale difensore dell'egualitarismo, un deciso avversario di ogni tipo di gerarchia, compresa quella dei genitori nei confronti dei figli; pratica la «convivialità aperta» e compie miracoli apparenti, dal momento che viene presentato da Crossan come mago, inteso in termini positivi nel senso di «persona con un potere che opera ai margini dei canali religiosi ufficiali e regolari». Gesù venne conosciuto principalmente per i suoi aforismi e parabole.

          Per ottenere una simile immagine di Gesù, Crossan usa soltanto materiali attestati molte volte (45); conferisce un eccessivo valore a opere non canoniche come Il vangelo segreto di Marco, il vangelo di Pietro e il vangelo di Tommaso, negando valore storico al vangelo di Marco e alla narrazione della passione - nonostante sia attestata più volte - perché considerata un midrash derivante dalla riflessione dell'Antico Testamento. In ogni caso, il Gesù di Crossan risulta essere più «cinico» che ebreo, a giudicare dalla profusione di testi di pensatori cinici che allega all'opera e allo scarno collegamento del messaggio di Gesù alla Legge, alle scritture e all'escatologia ebraiche (46).

          Nella sua opera successiva Jesus: A Revolutionary Biography (San Franciso 1994) (47), Crossan non difende più una relazione diretta tra il movimento cinico e Gesù, quanto un comportamento di Gesù simile a quello dei cinici: «In ultima istanza, non c'è modo di sapere con sicurezza scientifica cosa sapesse Gesù del cinismo, neppure se ne avesse la più remota idea della sua esistenza. Anche se, in realtà, ciò poco importa. È possibile che non abbia mai udito parlare di cinici in tutta la sua vita e che si fosse inventato da solo la teoria cinica. In ogni caso, sia le differenze che le similitudini esistenti tra la figura di Gesù e quelle dei propagandisti cinici sono estremanente istruttive, sebbene non si possa stabilire tra loro un rapporto di dipendenza. Tutti si presentavano come populisti e il destinatario del loro messaggio era il popolo semplice; tutti predicavano un determinato stile di vita, e difendevano il proprio atteggiamento non solo a parole, ma anche con i fatti, non solo in teoria ma anche nella pratica; e da ultimo tutti utilizzavano dei vestiti e degli accessori che rappresentavano in maniera drammaticamente simbolica il contenuto del loro messaggio. Gesù, comunque, si muove in un ambiente di tipo rurale, i cinici invece in ambienti urbani; Gesù organizza un movimento comunitario, mentre i cinici perseguono una filosofia individuale; da ultimo, la simbologia cinica richiede l'uso del bastone e delle bisacce, al contrario di quella di Gesù che impone di non portare né bisacce né bastone. Gesù forse corrisponderebbe all'immagine specifica di un cinismo contadino ebraico» (48).

          Sulla stessa linea di chi considera Gesù una specie di filosofo «cinico» va collocata l'opera di Burton Mack, A Myth of Innocence: Mark and Christians Origins (Philadelphia 1988), nella quale si afferma che «l'analogia cinica colloca il Gesù storico lontano da un ambiente settario specificamente ebraico per accostarlo al contesto dell'ethos ellenistico che era prevalso in Galilea, particolarmente nei piccoli centri come Cafarnao e Nazaret frequentati da Gesù» (49). Mack allinea in pratica Gesù ai molti seguaci del movimento cinico presenti in Palestina e riduce il nucleo del suo annuncio, la venuta del Regno, alla dottrina stoica della libertà dai condizionamenti esterni.

          Allo stesso modo, F. Gerard Downing, nella sua opera Christ and the Cynics: Jesus and Other Radical Preachers in First Century (Sheffield 1988), appoggia la teoria di un Gesù «cinico» con l'apporto indiscriminato di testi di Epitteto, Seneca, Musonio, Rufo e Dione e di lettere ciniche, quasi tutti posteriori al Gesù storico, eccezion fatta per queste ultime (50).

 

          Gesù, carismatico uomo dello Spirito?

 

          Marcus Borg, Geza Vermes e Graham H. Twelftree, ognuno a suo modo, difendono l'immagine di un Gesù carismatico - intendendo per carisma «la capacità che una persona ha di influire sugli altri» - e di un uomo dello Spirito, in intima comunione con Dio, che ha avuto visioni e rivelazioni, e che sperimenta il potere dello Spirito, utilizzandolo per curare e per scacciare demoni.

          Per M.Borg (Conflict, Holiness and Politics in the Teaching of Jesus, New York 1984), tuttavia il profilo di Gesù non si esaurisce in questo: Gesù può essere considerato anche come saggio e profeta (51).

          Nell'opera di Geza Vermes (The religion of Jesus the Jew, Minneapolis 1993) (52) Gesù viene presentato come un chassid (un ebreo pio) carismatico di Galilea, estremanente scrupoloso nell'osservanza della legge, maestro e profeta itinerante e, in quanto tale, probabilmente celibe, che compì cure miracolose come altri santi uomini dell'epoca (Onía del primo secolo a.C. e Janina ben Dosa, contemporanei di Gesù), che ebbero come modelli di riferimento profeti biblici come Elia ed Eliseo. Questo Gesù ebbe una relazione molto intima con Dio, fino al punto di chiamarlo Abba, Padre.

          Graham Twelftree (Jesus the Exorcist, Tubinga 1993) ci presenta un Gesù esorcista che agisce con il potere dello Spirito e non con quello di Belzebù (Mc 3. 22-30), fatto che l'autore considera collegato alla più antica tradizione di Gesù - il quarto vangelo non presenta mai Gesù come esorcista, i sinottici sì - e collegato all'escatologia già delineata da Gesù («In cambio, se io scaccio i demoni con la forza di Dio, segno che il Regno di Dio è arrivato fino a voi», Lc 11, 20). Va segnalato che nell'ambito della tradizione ebraica gli esorcismi vengono collegati in modo particolare alla figura di Salomone e alla sua sapienza: Gesù stesso si paragona a Salomone, quando, dopo essersi rifiutato di dare un segno agli scribi e ai farisei, afferma «qui vi è più di Salomone» (Mt 12,42; Lc 11,37), frase che nel contesto di Matteo viene collegata alla narrazione dello spirito immondo che, cacciato dal corpo di un uomo, attraversa luoghi desertici in cerca di una dimora.

 

          Gesù profeta escatologico?

 

          E.P. Sanders e M.Casey sostengono l'immagine di Gesù come profeta escatologico o apocalittico, inserito nel contesto della teologia e della speranza escatologiche degli ebrei della sua epoca.

          Secondo Sanders (Jesus and Judaism, Filadelfia 1985; The Historical Figure of Jesus, Londra 1993), Gesù è un ebreo entrato in conflitto con il proprio ambiente fino al punto di essere eliminato mediante la condanna a morte. Si aspettava un ordine nuovo, il Regno che annunciava come imminente e la restaurazione escatologica finale nel corso della sua generazione o in quella immediatamente successiva, come aveva sostenuto Schweitzer, e credeva che il giudizio di Dio contro il Tempio ne sarebbe stato il preludio, come viene affermato anche nella comunità di Qumran. Questo Gesù di cui i vangeli ci trasmettono molti atti credibili dal punto di vista storico, non è un riformatore sociale, considerata l'imminenza della parusia. Alla vigilia della restaurazione finale, Gesù offre il perdono incondizionato agli ebrei, compresi quelli più malvagi e recidivi (ai peccatori o reshacim dell'Antico Testamento), senza chiedere alcun tipo di pentimento o rito o cambiamento, dal momento che questo è uno degli aspetti più radicali del suo ministero. Per quanto riguarda i titoli escatologici, Sanders dimostra una notevole cautela nel non applicarli al Gesù storico, sebbene in The Historical Figure of Jesus arrivi ad affermare che si era considerato come l'ultimo messaggero di Dio.

          Come Sanders anche M. Casey (From Jewish Prophet to Gentile God: The Origins and Development of New Testament Christology, Cambridge 1991) afferma che Gesù deve essere inserito nel contesto dell'ebraismo antecedente agli anni Settanta del primo secolo. Il Gesù di Casey non è così radicalmente diverso da Giovanni Battista: essendone stato discepolo, è infatti deciso a portare a termine la profezia del maestro su quel che stava per venire; d'altra parte, la sua offerta di perdono non è così radicale come quella di Sanders, poiché viene rivolta principalmente non ai malvagi e ai depravati, come sostiene Sanders, quanto alle pecore smarrite del popolo di Israele, che - come aveva fatto Giovanni Battista - vengono invitate a pentirsi. Il Gesù di Casey, come quello di Sanders, è in attesa di una fine imminente in un futuro immediato, motivo per il quale avverte l'urgenza di riunire il gregge e prepararlo per l'avvento finale di Dio. Per Casey Gesù non solo previde la propria morte, ma la considerò anche un sacrificio espiatorio per Israele, al pari di quello offerto con la morte dei martiri maccabei (2Mac 7, 37-38). Gesù non si considerò il Messia, dal momento che i titoli cristologici degli evangeli non possono esser fatti risalire al Gesù della storia, eccezion fatta per quello di «Figlio dell'uomo», che tuttavia è semplicemente un modo di definirsi uomo. D'altra parte quanto proclama sulla morte e sulla resurrezione va inteso nel senso di una resurrezione completa come quella che gli ebrei pii si attendevano dopo la morte.

 

          Gesù profeta del cambiamento sociale?

 

          Di fronte al Gesù delle attese escatologiche, proposto da Sanders e Casey, R.A. Horsley (in collaborazione con John S. Hanson: Bandits, Prophets and Messiahs: Popular Movements at the Time of Jesus, Minneapolis 1985) (53) mette in luce, sul versante completamente opposto, un Gesù quasi del tutto privo di una dimensione escatologica, inserito nel contesto sociale, economico e politico della Galilea e, in modo particolare, negli ambienti contadini galilei, nei quali venne riconosciuto come sostenitore di un profondo cambiamento sociale di carattere non violento di fronte alle elite urbane e al crescente ceto burocratico. Tra le sue proposte vi era quella del perdono dei nemici, il condono dei debiti dei contadini e la sostituzione delle relazioni patriarcali - poiché vi è un solo Padre: Dio - con altre egualitarie, nell'attesa della ormai prossima venuta del Regno di Dio, che avrebbe comportato la caduta del potere romano in Palestina e delle autorità del Tempio. Questo Gesù non ebbe la pretesa di formare una comunità alternativa, quanto di riformare profondamente la società esistente. La natura del Regno di Dio, per Horsley, è più di tipo socio-politico che teologico e religioso.

          Per Gerd Theissen - Studien zur Soziologie des Urchristentums («Studi di sociologia del cristianesimo primitivo») (Tubinga (2) 1983) (54), autore che ha esercitato una notevole influenza su  Horsley, Gesù fu un predicatore radicale carismatico itinerante, seguito da un gruppo di discepoli, anch'essi itineranti con un'etica rigorosa e uno stile di vita senza radici e «senza tetto». Essi venivano accolti da gruppi di simpatizzanti locali che offrivano loro ospitalità e aiuti materiali. Lo stesso Theissen ammette, comunque, che tra i seguaci di Gesù vi erano anche persone di classe media emarginate. Il Gesù di Theissen attendeva la vicina fine del mondo, sulla linea di Schweitzer, però questo non impedì l'avvio di un movimento di riforma - questo sì, pacifico vista l'imminenza dell'intervento di Dio che avrebbe sovvertito la sorte di potenti e di deboli - nel contesto dell'agitata stuazione della Galilea.

          R. David Kaylor (Jesus the Prophet: His Vision of the Kingdom on Earth, Louisville, Ky, 1994), da parte sua, si differenzia da Horsley e Theissen, presentando Gesù come un sostenitore del rinnovamento di Israele che avrebbe dovuto riportare il popolo alle tradizioni dell'Alleanza dell'Antico Testamento, perché vi fosse giustizia e pace.  Gesù fu un profeta sociale e la sua azione fu - sebbene non esclusivamente - politica, sulla linea dei profeti di prima dell'esilio. Egli credeva infatti che la benevolenza di Dio nei confronti del popolo si sarebbe dovuta manifestare nel ristabilire nelle relazioni umane quella giustizia e quell'eguaglianza, che erano state predominanti durante l'epoca premonarchica in Israele. Questa riforma sociale avrebbe preparato l'intervento diretto di Dio sulla scena politica. Gesù affrontò nelle sue parabole - alcune volte in maniera diretta, altre in maniera indiretta - i problemi sociali concreti del momento, fatto che portò le autorità a considerarlo come una minaccia dell'ordine stabilito, tanto da arrivare alla sua esecuzione capitale.

 

          Gesù profeta della sapienza o sapienza incarnata di Dio?

 

          Elisabeth Schlüssler Fiorenza (In Memory of Her: A Feminist Theological Reconstruction of Christian Origins, New York 1984) (55) è un punto di riferimento di altre autrici che tentano una ricostruzione in chiave femminista delle comunità primitive, utilizzando quella che l'autrice chiama una «ermeneutica del sospetto», per scoprire il ruolo che ricoprirono le donne secondo alcuni testi - la cui gestazione orale avvenne in tempi lunghi e la cui stesura definitiva avvenne in una cultura patriarcale quasi esclusivamente maschile. Per la Schlüssler, Gesù vedeva Dio come Sofia-Sapienza e non come Abba, e egli stesso fu profeta della Sapienza, un profeta radicale che preconizzò la liberazione delle donne e degli emarginati dalle strutture patriarcali oppressive. Tuttavia, a giudizio della Schlüssler, quest'immagine di Gesù fu ampiamente e deliberatamente cambiata nel corso della presentazione cristiana delle tradizioni su Gesù. Il Gesù della Schlüssler contempla Dio non come giudice (in accordo con quanto sostenuto da Giovanni Battista), ma come liberatore degli oppressi; si dimostra difensore dell'egualitarismo - una corrente già presente in precedenza nella tradizione di Israele che fomentava la emancipazione delle donne come risulta a parere dell'autrice dal libro di Giuditta - e presenta una scelta alternativa alla visione patriarcale della società. Da qui la sua ricerca sugli stadi primitivi di questa tradizione e il rifiuto di molte tradizioni evangeliche - considerate tarde - in appoggio della famiglia, del matrimonio, del divorzio, del fatto che i Dodici apostoli fossero tutti maschi, ecc. Per la Schlüssler, Gesù e i suoi seguaci diedero vita a un movimento di rinnovamento profetico all'interno d'Israele; Paolo e altri missionari lo fecero nel mondo greco-romano. Mentre il movimento a cui Gesù aveva dato vita fu uno sviluppo specifico delle tradizioni religiose ebraiche, quello di Paolo dovette incarnarsi nell'ethos dominante del mondo pagano greco-romano. Entrambi entrarono in conflitto con l'ethos patriarcale dominante, sia ebraico che greco-romano. Le donne giocarono un ruolo importante in entrambi i movimenti.

          Da parte sua, Ben Witherington III (The Christology of Jesus, Filadelfia 1990; Jesus the Sage: The Pilgrimage of Wisdom, Minneapolis 1994), pur non sentendosi completamente soddisfatto nel catalogare Gesù con un'unica definizione, riconosce che l'approccio sapienziale a Gesù, come sapienza incarnata di Dio, è quello capace di riunire molti dei tratti della sua persona così come emergono dai vangeli, e all'apparenza non collegati tra loro. La sua immagine di profeta, guaritore ed esorcista, il suo essere uomo dello Spirito o maestro messianico, il suo modo di insegnare (con parabole, aforismi e beatitudini), la sua insistenza sul Regno, l'uso del titolo di Figlio dell'uomo, il suo considerare Dio come Padre, la sua teologia della creazione, la mancanza di materiale halakhico (norme della tradizione del midrash-NdT) nel suo insegnamento, l'assenza nei suoi discorsi della frase usuale nei profeti «così dice il Signore», la sua enfasi sulla giustizia, ecc. mettono a fuoco un'immagine di Gesù come sapienza di Dio, immagine che non deve essere in alcun modo isolata, secondo Witherington, da quelle di Gesù come profeta, persona dello Spirito o maestro messianico. È proprio questo concetto a conferire unitarietà all'uomo il cui essere «non può essere descritto con una sola formula». Forse, su questa linea di «sapienza di Dio», si è orientata l'autocomprensione di Gesù rispetto a se stesso.

 

          Gesù, ebreo marginale o messia ebraico?

 

          John P. Meier e N.T. Wright sono convinti che sia possibile arrivare al Gesù della storia, se si ricorre a un metodo adeguato, e quindi collocarlo nel contesto storico, sociale e teologico. Entrambi concordano sull'uso di una metodologia - quella dei metodi storico-critici della scuola tedesca - più tradizionale di quella a cui hanno fatto ricorso gli altri autori della terza tappa, nei confronti dei quali peraltro sono estremamente critici. La loro opera non è ancora conclusa e perciò ogni giudizio resta provvisorio in attesa della pubblicazione dei prossimi lavori che ne completino il pensiero.

          Per J.P. Meier (A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, vol. 1, The Roots of Person, vol. 2 New York 1991, è atteso un terzo volume), Gesù fu un ebreo vissuto ai margini della società ebraica come predicatore itinerante e guaritore, i cui insegnamenti e atti erano in molti casi in contrasto con quelli della maggioranza degli ebrei della sua epoca. Gesù fu un marginale per diversi motivi: conduceva un'esistenza ai margini della storia greco-romana dell'epoca e della società che contava allora, della vita sociale (era itinerante) e dell'insegnamento (andava controcorrente). Per costruire questa immagine di Gesù, Meier si basa fondamentalmente sui vangeli canonici, cercando sempre di distinguere il Gesù della storia e il Cristo della fede, anche se non inquadra a sufficienza i testi nel contesto della situazione sociale palestinese, convinto com'è che Gesù sia un profeta escatologico che annuncia l'intervento definitivo di Dio, la venuta del suo Regno, già presente come realta di carattere trascendente che farà irruzione in un futuro prossimo cronologicamente imprecisato. Gesù insomma sarebbe stato un profeta escalogico più che sociale, sebbene sia difficile da inquadrare nell'ebraismo dei suoi tempi, perché fu anche un esorcista, compì dei miracoli e fu senza alcun dubbio un personaggio carismatico (56).

          Da parte sua, N.T. Wright (Christian Origins and the Question of God, vol.1, The New Testament and the People of God, Minneapolis 1992, dedicati a questioni introduttive; Who was Jesus, Michigan 1992), ritiene che, per avvicinare adeguatamente il Gesù della storia, occorre effettuare un duplice «salto»: uno in avanti, dall'ebraismo primitivo a Gesù, e un altro all'indietro dai vangeli a Gesù. Questi ultimi infatti devono essere valutati dal punto di vista della credibilità storica alla stregua delle altre opere biografiche del mondo antico (57). Wright dedica gran parte della sua opera a descrivere le aspettative messianiche dell'epoca, perché vuole interpretare Gesù all'interno del contesto ebraico. Aspettative che in sostanza erano quattro: la restaurazione del popolo di Dio nella fedeltà alla Torah, il ritorno del Tempio - cuore dell'ebraismo - al suo autentico livello di santità, la restituzione al popolo dei suoi legittimi leader, quelli ebrei, cosa che avrebbe comportato la purificazione della terra e del Tempio da ogni impurità, compresa, se necessaria, la distruzione del Tempio e la sua sostituzione.

 

          La posizione che Gesù adotta nei confronti del Tempio, della Torah, del popolo e della terra d'Israele, definisce la sua peculiare visione del popolo ebraico e il modo in cui Dio interverrà nel futuro, forse diverso da quello sperato dagli ebrei contemporanei. Essa mette in discussione non solo l'interpretazione normale della legge ebraica o halakhàh, ma anche la stessa fede e speranza di Israele. Gesù, secondo Wright, come altri ebrei e molti cristiani primitivi, non attendeva tanto la fine del mondo, quanto la fine di questo ordine mondano. L'avvento del Regno di Dio non è collegato alla fine del mondo, sebbene evocata nei testi con immagini cosmiche tratte dal linguaggio apocalittico (caduta di stelle, il sole che si oscura, la luna che non risplende, ecc.); con queste immagini, tuttavia, si descrive piuttosto la fine dell'ordine mondano. Per Wright - come per molti contemporanei di Gesù - la restaurazione di Israele da parte di Dio rimane all'interno di questo mondo. In altre parole, quello che gli ebrei attendevano, era un radicale rinnovamento dell'attuale ordine del mondo, che implicasse l'inserimento in un nuovo ordine della Torah, del Tempio, della terra, dell'identità ebraica, dell'economia e della giustizia. Gli ebrei, detto con parole di Wright, non erano in attesa di fuggire da questo mondo verso la felicità celeste, ma piuttosto di vivere di nuovo bene su questa terra dopo la resurrezione.

          Wright vede Gesù come un Messia corporativo (sulla linea del libro di Daniele) che in realtà incarna per Israele un nuovo tempio e un nuovo centro della nuova religione. Questo Messia parla al popolo attraverso parabole per portargli il messaggio radicale della salvezza di Dio che tramite il suo ministero messianico si rivolge non solo alle pecore smarrite di Israele ma anche ai gentili. Anzi, secondo Wright, Gesù si vede come persona in cui Dio abita e attraverso la quale agisce (58).

 

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          Termina qui il nostro lungo viaggio verso il Gesù della storia, con la coscienza di aver tralasciato lungo il cammino altre opere di autori impegnati nel raggiungere lo stesso obiettivo. È il rischio di tutte le antologie.

          L'impressione che si ha dopo questa panoramica è quella di trovarsi davanti a un «Gesù storico incerto e frammentario», per usare l'espressione di F. Segalla (59), che ci fa sentire scoraggiati dinanzi a immagini tanto diverse del Gesù storico.

 

Riflessioni finali

 

          Nel corso di questa esposizione abbiamo evitato, nella misura del possibile, di pronunciarci sull'esatezza o meno delle affermazioni dei vari autori. È difficile infatti valutare in poche pagine i risultati  - talvolta contrastanti e contradditori - di una ricerca tanto ricca e variegata sul Gesù della storia. Non vogliamo comunque concludere questo lavoro senza esporre alcune riflessioni a mo' di contributo alla prosecuzione della esplorazione del cammino verso il Gesù della storia.

 

          Le due grandi linee di ricerca della vita di Gesù

 

           Dalla ricerca sulla vita del Gesù emerge sorprendentemente un Gesù della storia con molteplici volti, ricostruiti a partire dal punto di vista del ricercatore di turno, e risultanti dall'uso di fonti di diverso tipo o delle stesse fonti, lette però con metodologie e presupposti ideologici differenti. Un Gesù, per citare soltanto gli autori della terza tappa, cinico itinerante o uomo dello Spirito, profeta escatologico o profeta del cambiamento sociale, oppure ancora saggio-sapienza di Dio, ebreo marginale o messia ebraico, ecc.

          Tuttavia, per quanto disparate possano apparirci queste immagini di Gesù, possiamo dire che dall'inizio della ricerca fino ad oggi le grandi linee di ricerca seguite dagli autori sono state soltanto due.

          La prima, analitico-letteraria, avviata da Wrede con la sua opera sul segreto messianico come motivo letterario introdotto nei vangeli da Marco per nascondere la verità storica di un Gesù che non venne riconosciuto come Messia fin dopo la morte. Una linea di ricerca analitico-letteraria (seguita da Bultmann e dai post-bultmanniani e dagli autori della seconda tappa) si è concentrata sullo studio dei detti di Gesù per provarne l'autenticità (ipsissima verba Jesu) e giudica un traguardo impossibile l'accesso al Gesù storico a partire dai vangeli. Per questi autori, i vangeli conducono al Cristo della fede o alla storia della Chiesa primitiva e del suo ambiente ebraico o ellenistico. Scrivere la vita di Gesù, perciò, risulta un'impresa vana e impossibile, o quantomeno molto rischiosa (60).

          La seconda linea di ricerca - storico-sintetica - prende il via da Schweitzer che considera storica l'esposizione del vangelo di Marco, senza ridurne le incoerenze o contraddizioni, collocando Gesù all'interno del contesto del movimento apocalittico ebraico. Coloro che hanno seguito questa linea di ricerca, hanno focalizzato il loro studio negli atti di Gesù (ipsissima facta Jesu), inquadrandoli nel contesto storico, economico, politico, sociale, religioso e culturale ebraici dell'epoca, per poi da qui ricostruire una narrazione plausibile del suo ministero e di conseguenza descrivere il profilo storico della sua persona. In  ciò ci vengono in aiuto le scienze ausiliarie dell'esegesi, dalla critica storica, alle scienze sociali, all'antropologia culturale, e questo conferisce un maggior grado di credibilità storica ai vangeli canonici quale base ragionevolmente valida per accedere al Gesù della storia (61).

          Si dovrebbe, comunque, compiere uno sforzo di sintesi, riunificando le due linee, dal momento che in nessuno modo l'analitico-letterario si oppone allo storico-sintetico, anzi, queste due approcci sono complementari, come ha sostenuto di recente G. Segalla (62).

 

          Affidalità storica dei vangeli

 

          In riferimento alla affidabilità storica dei vangeli, si è passati dall'accettarli come documenti storici (gli autori della tappa precritica) al rifiuto in blocco in quanto rifletterebbero l'ideologia e la fede della comunità primitiva più che i detti e gli atti del Gesù della storia. Ciò nonostante, negli ultimi tempi, essi hanno recuperato un certo grado di credibilità storica e sono considerati una base valida di accesso al Gesù della storia, seppur non sufficientemente ampia per poterne ricavare la biografia. Come abbiamo visto, c'è anche chi arriva a considerarli allo stesso livello delle biografie dell'antichità. Nell'inserire gli atti e i detti di Gesù nel contesto dell'epoca, in molti casi viene dimostrata la coerenza storica del racconto evangelico che consente di credere alla possibilità di ricostruire dal punto di vista storico le coordinate del ministero terreno di Gesù, e di disegnare almeno i grandi atteggiamenti che ne caratterizzarono la persona.

          Sebbene «si debba riconoscere che gli scritti del Nuovo Testamento non sono racconti storici nel senso moderno della parola, quanto piuttosto professioni di fede nel Messia resuscitato e che gli eventi della sua vita terrena vengono in essi riletti alla luce della Pasqua, ciò non impedisce che uno studio accurato, senza pretendere di trovare  "le esatte parole autentiche" (ipsissima verba) di Gesù, fornisce solidi indizi di quello che fu il suo stile di vita, i suoi atteggiamenti, gesti e parole; questo studio ci aiuta così a entrare un poco nella sua coscienza. Paradossalmente, il contributo più limpido alla cristologia da parte dello stesso Gesù proviene dai suoi comportamenti più che dalle sue affermazioni» (63).

 

          Il Gesù dei grandi atteggiamenti

 

          Ed è proprio seguendo questa strada, credo, che la ricerca su Gesù può incontrare una via d'uscita dalla «strada a fondo chiuso» in cui si è venuta a trovare. Al di là del ritratto o del profilo definito della sua persona - che dipenderà sempre dal contesto in cui lo collochi ogni autore, dal metodo con cui lo si affronti o dalle fonti utilizzate - credo che siamo in condizione di poter recuperare i grandi atteggiamenti o comportamenti di fondo del Gesù della storia. Le linee maestre del suo stile di vita e del suo messaggio, che sono proclamati anche dalla comunità cristiana primitiva, a mio parere, devono far riferimento in maggior o minor misura ai suoi comportamenti e atteggiamenti di fondo. Se la formula primitiva «Gesù è il Cristo» non è soltanto un'invenzione dei primi cristiani per architettare la storia di una frode, dobbiamo pensare che essi, nell'annunciare Gesù morto e risorto, trasmettevano fedelmente almeno il contorno della sua figura, mettendo in rilievo - con maggiore o minore intensità e a seconda delle nuove e mutevoli circostanze delle loro comunità - i tratti principali della sua personalità.

          Questo nucleo, comune ai vangeli e al resto degli scritti del Nuovo Testamento quando parlano di Gesù, comprende almeno quattro tratti distintivi della sua personalità storica: l'assoluta libertà, la proclamazione della uguaglianza tra gli esseri umani, l'apertura universale, in particolare verso coloro che sono esclusi dalla società, e l'amore solidale, come risultato del suo sentirsi posseduto dallo Spirito del Dio-amore che chiama «Padre» (64).

          Il progetto vitale di questo Gesù della storia fu quello di portare gli uomini alla pienezza umana, il che nel linguaggio evangelico si traduce con il farli diventare figli di Dio. Mettendo l'uomo al centro dell'attenzione, finì con lo scontrarsi frontalmente con il Tempio e con la Legge, utilizzati dalla classe dirigente per sottomettere e non per liberare il popolo. Per questo lo hanno ucciso.

 

          Un Gesù che non si esaurisce in una formula

 

          Sebbene dalle fonti non cristiane non si possa sapere quasi nulla di Gesù e quel che conosciamo dai vangeli sia filtrato dalla fede che li porta a parlare di Gesù-Cristo, credo che oggi siamo in grado di sapere quanto basta per affermare che Gesù fu agli occhi dei suoi contemporanei «una personalità fuori dal comune, la cui vita fu guidata da una vocazione eccezionale» (65). Se i vangeli narrano azioni di Gesù come guaritore, se gli insegnamenti del Regno vengono trasmessi con una serie particolarmente copiosa di parabole, se in essi ci sono state trasmesse frequenti controversie con esponenti della classe dirigente ebraica, se ci hanno conservato raccolte di logia o parole di Gesù, arricchite senza dubbio dalla comunità cristiana primitiva in piena libertà, se numerosi testi disegnano un Gesù che avvicina i peccatori e gli emarginati della società, siamo convinti che questo insieme di tradizioni relative a Gesù non si sarebbe sedimentato per scritto e poi trasmesso se non avesse avuto presente come riferimento un Gesù storico che aveva fatto - in misura più o meno grande - il guaritore, il maestro che parlava del Regno attraverso parabole - genere letterario, è certo, utilizzato esclusivamente da Gesù nel Nuovo Testamento -, il polemista con i capi ebraici, il saggio che ricorre ai detti per condensare autorevolmente il suo insegnamento, e il liberatore degli emarginati e degli oppressi.

          Certo, possiamo affermare, in accordo con i ricercatori, che la maggior parte dei titoli attribuiti a Gesù nei vangeli, non provengono dal Gesù della storia, ma sono sviluppi cristologici della comunità primitiva. Dubitiamo tuttavia seriamente che una simile proliferazione di titoli sia scaturita dal nulla, senza aver incontrato una propria solida base nel Gesù della storia e senza che i suoi seguaci non avessero intravisto in lui un'apertura del tutto speciale nei confronti del divino, che sarebbe in seguito servita per dar fondamento alla insistita esplicitazione dei tratti della sua personalità storica.

          Anche se non possiamo scrivere la vita di Gesù in dettaglio - e probabilmente non ci potremo arrivare mai - credo che all'attuale stato della ricerca siamo in condizioni di affermare che, se non il profilo definito della sua personalità, siamo in grado di recuperarne i tratti caratteristici e, a grandi linee, lo stile assolutamente peculiare della sua vita. Perché se c'è qualcosa che è stato chiarito in questo lavoro, è che il suo profilo non si esaurisce nella formula di turno messa a punto da questo o da quell'autore. Forse è questa la migliore conclusione cui possiamo arrivare. Non solo il Cristo della fede, ma anche il Gesù della storia è difficile da inquadrare all'interno di una determinata definizione.

          Alla fine di questa panoramica che ha la finalità di riscattare l'immagine del Gesù della storia, dobbiamo anche ricordare che «la fede in Cristo si incarna nella storia, ma non si esaurisce in essa».

          Agli albori del XXI secolo, la figura di Gesù continua a presentarsi per molti aspetti come un enigma che, forse, può essere decifrato soltanto se alla luce della storia sommiamo l'esperienza della fede, per poter confessare insieme e come i primi cristiani che «Gesù è il Cristo», e chiamarlo «Gesù Cristo» (66).

 

 

- NOTE

 

(1) Nel vangelo di Matteo (16,13-20), Pietro dice: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente», professione di fede rivelatagli dal Padre che sta nei cieli, e alla quale Gesù dà il proprio assenso rivolgendosi a Pietro con una beatitudine: «Beato te, Simone figlio di Giona». L'espressione «il Messia, il figlio del Dio vivente» si contrappone a quella semplice de «il Messia» o a quella «il Messia, figlio di Davide», che poteva essere interpretata dalla gente come continuità con il Messia davidico nazionalista e violento. Ecco perché in questo brano del suo vangelo, Matteo chiude dicendo che Gesù «allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che era il Messia». Cfr. per questa interpretazione, J. Mateos, El Nuevo Testamento, Madrid 1987, ad locum.

 

(2) Figlio dell'uomo è l'unico titolo che gli studiosi riconoscono possa esser stato utilizzato dal Gesù della storia per riferirsi alla sua persona, seppur sempre seguito da un verbo in terza persona. Uno studio esauriente sul significato dell'espressione «figlio dell'uomo» è stato realizzato da J. Mateos e F. Camacho, El Hijo del Hombre. Hacia la plenitud humana,El Almendro, Cordova 1995. Tra pagina 5 e pagina 18 viene presentata un panoramica delle opinioni sul significato dell'espressione. Per gli autori, l'espressione «Figlio dell'uomo» indica nei vangeli l'uomo nella sua pienezza, che include anche la condizione divina. Si riferisce in primo luogo a Gesù, pioniere e prototipo della pienezza umana, e coinvolge quanti sono incamminati verso tale pienezza.

 

(3) Frequentemente si è soliti distinguere tra il Gesù della storia nato, vissuto e morto in Palestina, e il Gesù storico, cioè la conoscenza che di lui noi abbiamo grazie alla storiografia e alle scienze ausiliarie della storia. È a questa seconda figura che facciamo riferimento nel corso di questo saggio quando usiamo le espressioni Gesù della storia o Gesù storico. Questo Gesù è il risultato della ricostruzione che gli storici - ciascuno con il suo specifico apparato metodologico - fanno della figura di Gesù di Nazaret.

 

(4) Una simile domanda se la posero anche i cristiani dei primi secoli. Come vedremo in questo lavoro, molti elementi della ricerca degli ultimi secoli sul Gesù della storia si ritrovano già nei primi secoli del cristianesimo. Il Gesù «esempio di vita/genio religioso» di Luciano, il Gesù «politico ribelle» di Gamaliel, Giuseppe, Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane, e il Gesù «spirituale/frainteso/escatologico» di Celso e della tradizione rabbinica, si possono per certi versi ritrovare nelle parole di non credenti dell'antichità, come ha dimostrato Douglas S. Huffman nel suo articolo «The Historical Jesus of Ancient Unbelief», Journal of Evangelical Theological Society, 40 (1997), pp. 551-562.

 

(5) Paolo fa riferimento esplicito all'ascendenza (Rom 1,4) e alla nascita (Gal 4,4) umane di Gesù. Lo stesso dato della storicità di Gesù compare negli Atti (1,1-2) laddove si fa riferimento alle sue attività terrene, umane, e nella lettera agli Ebrei (2,14) laddove si afferma che Gesù condivide la natura umana. In 1Gv 1,3 e 4,2 si afferma esplicitamente che i seguaci di Gesù hanno fatto esperienza della sua realtà umana attraverso la vista, l'udito e il tatto. Più frequente è l'allusione alla morte di Gesù e ad alcune delle sue circostanze Rom 5,6-18 e 8,3; 1Cor 1,30 e Cor 5,18; Gal 1,3; Fil 2,8; 1Tes 4,10; 1Tes 2,15; Eb 7, 26-27; 9, 11-28; 13,12; 1Pt 2,21-24 3 3,18; ecc.). Per quanto riguarda gli  insegnamenti di Gesù, soltanto due di quelli riportati nel vangelo, compaiono nelle lettere di Paolo: il principale comandamento (Mc 12,28-34, cfr Rom 13,9-10; 15, 1-3; 1Tes 4,2; Gal 6,2), e le indicazioni sul divorzio e il nuovo matrimonio (Mc 10, 1-12 cfr. 1 Cor 7,12). Il versetto di Gn 2,24 citato da Marco in 10,7 compare in Ef 5,31-33 come appello all'amore reciproco tra mariti e mogli nella comunità cristiana. Negli Atti (20,35) viene citato il detto di Gesù «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» che non compare nei vangeli. Due eventi della vita di Gesù vengono ricordati al di fuori dei vangeli: la trasfigurazione (2Pt 1, 17-18) e l'eucarestia (1Cor 11,17-34; 1Cor 14,16-17) o lo spezzare il pane (2, 42-46 e 20, 7-11). Nella prima lettera a Timoteo (6,3) si dà per inteso che le norme etiche che devono far da guida alle comunità cristiane si basano sulle «sane parole, quelle del nostro Signore Gesù Messia». Se si escludono i vangeli, non si fanno allusioni alle attività taumaturgiche di Gesù, però i suoi discepoli e i suoi seguaci compiono miracoli come lui (Pietro in At 3,6 e 9,34; Filippo in 8,5-8; Anania in 9,17; Paolo in 9,14 e 20) e nel suo nome (19, 13-14). Cfr H.C. Kee ¿Que podemos saber sobre Jesús? El Almendro, Cordova 1992, pp. 35-45.

          Per quanto riguarda gli scritti apocrifi, è scarsa l'informazione attendibile dal punto di vista storico su Gesù, ragion per cui va verificato caso per caso il suo grado di credibilità. Qualcuno ritiene - è il caso dei membri del Jesus Seminar degli Stati Uniti e specialmente di uno degli autori più conosciuti, J.D. Crossan - che i vangeli apocrifi, in particolare il vangelo copto di Tommaso, siano validi quanto i canonici nel lavoro di recupero dei detti del Gesù della storia, opinione comunque non condivisa da molti altri autori. Per un'introduzione allo studio dei vangeli apocrifi: A. Piñero (a cura di), Fuentes del cristianismo. Tradiciones primitivas sobre Jesús, El Almendro, Cordova 1993, pp. 367-454, con abbondante bibliografia nelle note; e J. Montserrat Torrents, «Los evangelios gnósticos», ibidem, pp. 455-475.

 

(6) Questo testo, chiamato «Testimonium Flavianum», si è conservato in quattro versioni diverse: greca (Historia Eclesiastica di Eusebio di Cesarea), latina (De Viris Illustribus di San Gerolamo), araba (Historia Universalis di Agapio, del secolo X) e siriana (Crónica Siriaca di Michele il Siriano, del secolo XII). Il testo in colonne parallele si può leggere in A. Paul, Intertestament (Cahiers Evangile, 14) Cerf, Parigi 1975, pp. 22-23; cfr. anche H.Lichtenberger «Josephus über Johannes den Täufer, Jesus und Jakobus», in Bibel und Kirche, 53 (1998), pp. 67-71, nel quale l'autore indica le espressioni di questo testo che non possono essere frutto di un'interpolazione di un autore cristiano, quelle che non possono essere di Giuseppe Flavio e quelle infine neutrali che possono essere sia di Giuseppe Flavio sia di un'interpolazione di matrice cristiana.

 

(7) Questa citazione del Talmud concorda con Giovanni 19,14.31 dove si dice che Gesù fu crocifisso alla vigilia di Pasqua.

 

(8) La confusione tra Khrestus e Khristos è attestata. Tertulliano (160-220 d.C.) sostiene che i governanti romani pronunciavano in modo errato chrestianus invece di christianos (Apologetico 3).

 

(9) Altri scrittori pagani che riportano notizie sui cristiani sono Luciano di Samosata, l'imperatore Marco Aurelio e il retore romano Frontone. Per un'informazione più completa sui cristiani negli storici romani, si veda il mio articolo «Jesús y el Reino de Dios. Las comunidades primitivas. El Judeo-cristianismo» in A. Piñero (a cura di), Origines del cristianismo. Antecedentes y primeros pasos, El Almendro, Cordova 199, pp. 228-232.

 

(10) A partire dal secondo secolo sono più abbondanti le notizie degli scrittori pagani sui cristiani in relazione della polemica del paganesimo contro il cristianesimo. Una attestazione di ciò è anche il Contra Celsum di Origene (s.III), ritenuta una risposta alla presunta polemica contro il cristianesimo condotta nel secondo secolo da Celso, il quale sosteneva che Gesù era figlio illegittimo di una donna - sposata con un falegname - e un soldato di nome Pantera (1,28), considerava Gesù un semplice uomo e non Dio (2,7.38.68), ne spiegava i miracoli come trucchi di magia appresi in Egitto (1,28; cfr. 1,67-68; 2,49), lo definiva «demonio» (8,39) e rifiutava il carattere redentore della croce (2,31).

 

(11) Grijalbo Mondadori - Critica, Barcellona 1994; titolo originale: The historical Jesus. The life of a Mediterranean Jewish peasant, Harper, San Francisco 1991. Un'ampia rassegna di Rafael Aguirre su quest'opera è stata pubblicata in Estudios Bíblicos, 53 (1995), pp. 261-266.

 

(12) Sui cosiddetti «apocrifi moderni», si veda E.Miret Magdalena, «Del Jesús de la historia al Jesús de la ciencia-ficción» in A. Piñero (a cura di ), Fuentes del cristianismo. Tradiciones primitivas sobre Jesús, El Almendro, Cordova 1993, pp. 480-517.

 

(13) Per uno studio della ricerca sul Gesù storico fino ai nostri giorni, cfr. J. J. Tamayo Acosta, Por eso lo mataron, Trotta, Madrid 1998. (traduzione italiana: Per questo lo hanno ucciso, Cittadella Editrice, Assisi 2000).

 

(14) Il Diatessaron di Taziano (seconda metà del secondo secolo), il cui originale non si sa se venne scritto in greco o in siriano, è un esempio di questo tentativo di conciliare i dati dei quattro vangeli (diatessaron significa «attraverso quattro»), costruendo a partire da essi un unico racconto della vita di Gesù ed evitando in questo modo le possibili incoerenze o discordanze. Per maggiori informazioni, A. Piñero-J. Peláez, El Nuevo Testamento. Introducción al estudio de los primeros escritos cristianos, El Almendro, Cordova 1995,  pp. 103-104.

 

(15) In realtà la critica storica del Nuovo Testamento inizia alla fine del XVII secolo con R. Simon (Histoire Critique du Texte du Nouveau Testament, Rotterdam 1689), con l'obiettivo di studiare e chiarire sul piano storico la genesi del testo neotestamentario e la sua corretta comprensione attraverso l'utilizzo critico di tutti i manoscritti neotestamentari e le osservazioni al riguardo, fatte dai Padri. R. Simon è stato considerato, perciò, il «padre della critica testuale del Nuovo Testamento». Sugli inizi della critica testuale e della critica della religione si veda A. Piñero-J. Peláez, El Nuevo Testamento. Introducción al estudio de los primeros escritos cristianos, El Almendro, Cordova 1995,  pp. 31-33.

 

(16) A questa stessa conclusione sarebbe arrivato più tardi A. Harnack (1851-1930) nel suo lavoro di tesi intitolato Vita Jesu scribi nequit.

 

(17) Nell'ultimo periodo della sua vita, Strauss imitò Renan, la cui vita di Gesù presenta una concezione estetica sdolcinata, e si spostò verso posizioni liberali, passando dall'escatologia alla spiritualizzazione, dando una spiegazione razionale dei miracoli e abbandonando parzialmente la teoria del mito.

 

(18) Cfr. A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Iesu Forschung, Amburgo 1966, pp. 620-630.

 

(19) Die evangelische Geschichte, kritisch und philosophisch bearbeitet («La storia evangelica, elaborata criticamente e filosoficamente»), 2 volumi, Lipsia 1838.

 

(20) Der Evangelist, oder exegetische-kritische Untersuchung über das Verwandtsverhältnis der drei ersten Evangelien («L'evangelista, o ricerca critico-esegetico sul rapporto di parentela dei primi tre vangeli»), Dresda-Lipsia 1838.

 

(21) Su questa stessa linea si collocano B. Bauer, Kritik der Evangelien («Critica dei vangeli»), 2 volumi, Berlino 1850-1851; F.C. Baur, Kritische Untersuchungen über die kanonischen Evangelien («Ricerche critiche sui vangeli canonici»), Tubinga 1847.

 

(22) Sulla fonte Q, si veda il lavoro di A. Vargas-Machuca, «La llamada fuente Q de los evangelios sinópticos», in A. Piñero (a cura di ), Fuentes del cristianismo. Tradiciones primitivas sobre Jesús, El Almendro, Cordova 1993, pp. 63-94.

 

(23) Il termine tecnico greco kerygma (annuncio) si applica alla predicazione del fatto o del nucleo centrale della fede cristiana (salvezza attraverso la morte e la resurrezione di Cristo) che si fa nella comunità primitiva in forma di testimonianza per suscita la fede in chi ascolta.

 

(24) Prima della pubblicazione di questa opera, nel 1901, nel mandare in  stampa due scritti - Zwei religionsgeschichtliche Fragen und ungedrucken griechischen Texten der Strassburger Bibliothek («Due domande di storia delle religioni sui testi greci inediti della Biblioteca di Strasburgo»), Strasburgo 1902, Reitzenstein sostenne che la concezione del Logos come una personalità divina si poteva spiegare attraverso l'unione di teorie stoiche con quelle egiziane, il che poteva chiarire la concezione centrale del prologo del quarto vangelo. In un'altra opera - Poimandres. Studien zur grechisch-ägyptischen und frühchristilichen Literatur («Poimandres. Studi di letteratura greco-egiziana e cristiana primitiva»), Lipsia 1904 - riportava l'esistenza di un mito ellenistico su «Dio fattosi uomo» e la concordanza del linguaggio del vangelo di Giovanni con quella della mistica ellenistica. In questo modo affermava che il Cristo del kerygma non era di origine totalmente palestinese.

 

(25)  Sebbene la maggioranza dei ricercatori del XIX secolo evidenziassero la distanza esistente tra il Gesù della storia e l'immagine che ne trasmettono i vangeli, alcuni si dimostrarono in ogni caso ancor più conservatori - è il caso di A. Edersheim - sostenendo che le conclusioni radicali dei ricercatori erano il prodotto più della loro cosmovisione che di un approccio critico alla storia; e per questo motivo affermavano che i vangeli riportano una storia credibile e sono stati scritti da coloro ai quali erano stati attribuiti dalla tradizione.

 

(26) Sul metodo della storia delle forme, cfr. A. Piñero-J. Peláez   , El Nuevo Testamento, o.c.,  pp. 367-388.

 

(27) P.   Grech, «The Question of the historical Jesus and the New Hermeneutic» (Appunti fotocopiati), P.  I.B., Roma 1971, p.  12.

 

(28) Cfr. R. Bultmann, Jesus, Monaco 1926; Teología del Nuevo Testamento, Sígueme, Salamanca 1997.

 

(29) Testo pubblicato nel volume Der Historische Jesus und der kerygmatische Christus. Beiträge zum Christus Verständnis in Forschung und Verkündigung («Il Gesù storico e il Cristo del kerigma. Contributi alla comprensione di Cristo nella ricerca e nella predicazioni»), H. Ristow- K. Matthiae, Berlino 1962, p.  1. Si veda anche R. Bultmann, Sitzungsberichte der Heidelberg Akademie der Wissenschaften («Atti dell'Accademia delle Scienze di Heidelberg»), 1960, p.  3.

 

(30) H. Conzelman, W. Marxen, G. Bornkamm, G. Barth e J. Jeremias sono i più autorevoli rappresentanti di questo metodo e di questa fase della ricerca. Maggiori informazioni sul metodo della storia della redazione in A. Piñero-J. Peláez   , El Nuevo Testamento, o.c., p.  389; più in dettaglio, A. Salas, «Gli inizi. Le "forme" precedenti ai vangeli», in A. Piñero (a cura di ), Fuentes del cristianismo. Tradiciones primitivas sobre Jesús, El Almendro, Cordova 1993, pp. 17-44 e bibliografia in nota.

 

(31) I postulati della New Quest devono essere studiati insieme a quelli della Nuova ermeneutica rappresentata da G. Eberling, E. Fuchs e W. Marxen.

 

(32) Cfr. E. Käsemann, Ensayos exegeticos, Sígueme, Salamanca 1978, p.  169.

 

(33) Ibidem, p.  188.

 

(34) Una posizione analoga a quella di Bornkamm è stata assunta da H. Conzelmann nella sua opera Grundris der Theologie des Neuen Testaments, Tubinga 1967.

 

(35) Citato da J. Caba, De los evangelios al Jesús histórico, Biblioteca de autores cristianos, Madrid 1980, p.  33. Qualcosa di simile ha preteso di fare N. Perrin (Rediscovery the Teaching of Jesus, Londra 1967), che voleva trovare l'insegnamento autentico di Gesù, applicando rigorosamente i criteri della differenza, coerenza e attestazione multipla, di cui si parlerà più avanti.

 

(36) Cfr. J. Pikaza, «Prólogo a la edición castellana» dell'opera di H. Braun, Jesús, el hombre de Nazaret y su tiempo, Sígueme, Salamanca 1975, pp. 20, 27 e 28. L'opera di Jon Sobrino, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, Trotta Madrid (2) 1991, presenta un Gesù così come viene visto nel mondo latinoamericano, e del quale non si pretende tanto di recuperare la figura storica, quanto quella di una persona che si sente chiamata a proseguire la pratica di liberazione a favore degli oppressi.

 

(37) Questi criteri, più articolati ed esemplificati, si possono leggere in A. Piñero-J. Peláez   , El Nuevo Testamento, o.c.,  pp. 135-138.

 

(38) Della parabola dei vignaioli assassini, che si trova nei vangeli sinottici (Mc 12, 1-12; Mt 21, 33-46; Lc 20, 9-19) e nel vangelo di Tommaso (65), si è detto: che nessuna delle versioni è quella originale e che si dovrebbe far riferimento a un proto-Marco (J. A. T.    Robinson); che la versione originale forse appartiene alla fonte Q e che forse la versione di Luca è quella più vicina ad essa (A. Cadoux); che la parabola autentica è stata conservata nel vangelo di Tommaso (J.D. Crossant; K.R. Snodgrass); che le versioni di Luca e di Tommaso fanno riferimento a un originale e semplice racconto... nel quale si parlava di una sola persona più volte rimandata con le mani vuote dagli affittuari che la maltrattano; che si tratta di un'allegoria creata dalla comunità primitiva (A. Jühlicher). Il risultato della ricerca non può essere più disparato e scoraggiante. Cfr. William R. Herzog II, Parables as Subversive Speech. Jesus as Pedagogue of the Oppressed, Westminster John Knox, Louisville (Kentucky) 1994, pp. 98-113.

 

(39) Per lo studio di questa tappa della ricerca, si veda il magnifico lavoro di sintesi «Estado actual de los estudios sobre el Jesús histórico después de Bultmann», pubblicato da Rafael Aguirre in Estudios Biblicos, 54 (1996), pp.      433-463. Questo lavoro ha il pregio della chiarezza e della concisione, offre un'abbondante e selettiva bibliografia nelle note ed esprime giudizi sereni ed equilibrati sui risultati della ricerca, a cui rimandiamo il lettore che desideri avere una conoscenza critica dei progressi e delle lacune presentati da questa tappa. Più recente è l'articolo di Emiliano Vallauri, «Volti di Gesù negli studi più recenti», Laurentianum, 39 (1998), pp. 293-337, nel quale commenta gli studi scientifici apparsi negli ultimi vent'anni intorno alla figura di Gesù, che chiama «galleria di ritratti di Gesù», prestando particolare attenzione agli aspetti nuovi o alle caratteristiche più rilevanti che la figura di Gesù è venuta assumendo negli ultimi anni. L'autore suddivide il suo lavoro nei seguenti capitoli: Gesù distorto (Gesù figlio illegittimo, mago, ciarlatano); riambientato (Gesù nel contesto della Palestina); riebraicizzato (Gesù degli ebrei e tra gli ebrei); Gesù riumanizzato (Gesù come uomo) e Gesù di Nazaret, Cristo e Signore. Si possono leggere anche: G. Segalla, «La "terza" ricerca del Gesù storico: il Rabbi ebreo di Nazaret e il Messia crocifisso», Studia Patavina, 40 (1993), pp. 463-516; S. Freyne, «La ricerca sul Gesù storico. Riflessioni teologiche, in Concilium, 269 (1997); J.M. Borg, Jesus in Contemporary Scholarship, Trinity, Valley Forge 1994;; D.C. Allison, «The Contemporary Quest for the Historical Jesus», IrBibSt, 18 (1996), pp.174-193; M.E. Boring, «The "Third Quest" and the Apostolic Faith», Intepretation, 50 (1996), pp. 341-354.

 

(40) Così J. S. Kloppenborg, The Formation of Q: Trajectories in Ancient Wisdom Collections, Fortress, Filadelfia 1987.

 

(41) Oltre a quella che commenteremo, si veda la bibliografia riportata nelle note, specialmente quella della nota 23, dell'articolo citato di R. Aguirre.

 

(42) Un'ampia presentazione dell'opera The Five Gospels: The Search for the Authentic Words of Jesus, curata da R.W.Funk-R.W.Hoover (Polebridge, New York 1993) è stata scritta da T. Prendergast in Revue Biblique, 104 (1997), pp.     275-287. L'opera di Ben Witherington III, The Jesus Quest. The Third Search for the Jew of Nazareth (Intervarsity Press, Illinois 1995; edizione accresciuta 1997) è la vivace espressione delle critiche sollevate dai lavori del seminario. La critica di questo autore si basa sui seguenti punti. Il Gesù del Jesus Seminar è abbastanza limitato per la metodologia adottata, che presenta evidenti punti deboli: l'eccessiva enfasi attribuita ad alcuni criteri di storicità a scapito di altri, un ottimismo non critico nei confronti del vangelo di Tommaso come fonte per recuperare i detti di Gesù, la tendenza a trattarli al di fuori del loro contesto narrativo, e talvolta anche del quadro storico. In particolare viene messa in discussione la validità del sistema delle votazioni per decidere sull'autenticità dei «detti di Gesù». Una critica all'opera di Ben Witherington III si può leggere in Robert J.Miller, «Can the Historical Jesus be Made Safe for Orthodoxy? A Critique of The Jesus Quest by Ben Witherington III», JHC, 4 (997), pp. 120-137; lo stesso articolo appare su Internet: http://www.daniel.drew.edu/~ddoughty/millerbw.html.

 

(43) La selezione degli autori e delle opere della terza tappa è stata fatta seguendo l'ordine e la disposizione dell'opera citata di Ben Witherington III, del quale  spesso non condividiamo i giudizi di valore.

 

(44) Le caratteristiche principali dei cinici sono, a giudizio di Crossan, la autarkeia, l'autosufficienza o indipendenza dalla società e dai suoi vincoli, la parresía o libertà di espressione anche di fronte alle autorità e ai ricchi, il ricorso agli aforismi o detti morali sullo stile di quelli che citavano i cinici di Diogene, e i continui spostamenti con il costante trasferimento da un villaggio all'altro; nel programma dei cinici non rientrava la scelta o la formazione di un gruppo di discepoli; essi eleggevano la povertà come norma di vita. Cfr. P.  R. Eddy, «Jesus as Diogenes? Reflexions on Cynic Jesus Thesis», Journal of Biblical Literature, 115 (1996), pp. 449-469.

 

(45) Non tutto ciò che può contare su molteplici attestazioni, comunque, può essere attribuito, secondo Crossan, al Gesù della storia (per esempio: «Padre nostro..., venga il tuo regno», «i dodici» sono espressioni che non sono accettate come attribuibili al Gesù della storia, perché, è la tesi, Gesù non è in attesa di un Regno escatologico e i cinici non hanno discepoli).

 

(46) Cfr. R. Aguirre, «Estado actual de los estudios sobre el Jesús histórico después de Bultmann», Estudios Bíblicos, 54 (1996), 456. Si veda anche M. Ebner, «Kynische Jesusinterpretation- disciplined exaggeration?», Biblische Zeitschrift, 40 (1996), pp. 93-100.

 

(47) J. D. Crossan, Jesús: Biografía revolucionaria, Grijalbo Mondadori-Grijalbo, Barcellona 1996.

 

(48) Ibidem, pp. 140-141.

 

(49) La teoria dell'ellenizzazione di queste popolazioni di Galilea non viene accettata da molti autori, che fanno notare come Gesù non visitò mai le città di Séforide, Tiberiade, Gadara o Tiro, certamente ellenizzate. Sappiamo, comunque, che Gesù visitò la regione di Tiro (Mc 7, 24-30, la donna siro-fenicia) e Gadara (Mc 5,1-20, l'indemoniato; Gadara è una lettura molto discussa dal punto di vista testuale che ha come varianti: Gergasa, Gerasa), però non risulta che fosse entrato nelle città menzionate. Per il resto Hans Dieter Betz, in una relazione tenuta al Congresso della SNTS di Chicago nel 1993, intitolata «The Syro-phoenician Woman Story (Mc 7,24-30)», mette in dubbio la presenza di cinici in Galilea, sebbene la ammetta come possibile nelle città di Gadara e Tiro, certamente ellenizzate.

 

(50) È inesatto considerare Seneca o Epitteto come cinici, sebbene i loro scritti contengano senza dubbio talune caratteristiche di questa corrente filosofica. La difesa dell'immagine di un Gesù cinico, d'altra parte, si scontra fortemente con uno dei tratti che di lui offrono i vangeli: Gesù mangia e beve con ogni tipo di gente, compresi gli esattori delle tasse e i peccatori; la parresía o libertà di espressione non è d'altra parte una caratteristica specifica dei cinici, perché la si trova praticata allo stesso modo nell'Antico Testamento dai profeti.

 

(51) Sono di questo autore anche le seguenti opere: Jesus: A New Vision, Harper, Sam Francisco 1987; Meeting Jesus Again for the First Time, Harper, San Francisco 1994; Jesus in Contemporary Scholarship, Trinity, Valley Forge 1994.

 

(52) Geza Vermes, La religión de Jesús el judío, Anaya-Mario Muchnik, Barcellona 1996, terza opera di una trilogia, i cui due volumi precedenti sono: Jesús el judío: los evangelios leidos por un historiador, Muchnik, Barcellona 1994, e Jesus and the World of Judaism, Fortress, Filadelfia 1984.

 

(53) Altre opere di Richard A. Horsley: Jesus and the Spiral of Violence. Popular Resistence in Roman Palestine, Harper & Row, San Francisco 1987; Sociology and Jesus Movement, Continuum, New York (2) 1994; The liberation of Christmas: The Infancy Narrative in Social Context, Continuum, New York 1989.

 

(54) Gerd Theissen, Estudios de sociología del cristianismo primitivo, Sígueme, Salamanca 1985. Altre opere di Theissen: The Shadow of the Galilean: The Quest of Historical Jesus in Narrative Form, Fortress, Filadelfia 1987; Colorido local y contexto histórico en los Evangelios: Una contribución a la historia de la tradición sinóptica, Sígueme, Salamanca 1997.

 

(55) Elisabeth Schlüssler, En memoria de ella: reconstrucción teológica-feminista de los orígenes del cristianismo, Desclée de Bower, Bilbao 1989. Della stessa autrice e più recente è l'opera: Jesus: Miriam's Child, Sophia's Prophet: Critical issues in Feminist Christology, Continuum, New York 1994.

 

(56) Cfr. R. Aguirre, a.c., p.  456.

 

(57) Nella sua opera Wright fa ricorso a un «realismo critico» che, a suo avviso, deve sostituire il metodo della storia delle forme, attraverso il quale non si accede al Gesù della storia, ma alle comunità in cui queste forme letterarie hanno avuto origine.

 

(58) Sulla linea di quanti affermano che Gesù ha visto se stesso come Messia, si devono collocare le opere di altri autori come Peter Stuhlmacher (Jesús de Nazaret, Cristo de la fe, Sígueme, Salamanca 1996), James D.G. Dunn («Messianic Ideas and Their Influence on the Jesus of History», in J. H. Charlesworth (a cura di), The Messiah, Fortress, Minneapolis 1992), Markus Bockmuehl (This Jesus: Martyr, Lord, Messiah, T and T Clark, Edimburgo 1994), e Marinus de Jonge (Jesus, The Servant Messiah, Yale University Press, New Haven 1991). Questi autori mettono in luce la pluralità di posizioni esistenti nell'ambito della Third Quest, posizioni in molti punti discrepanti dalle teorie più radicali del Jesus Seminar e dei suoi maggiori esponenti.

 

(59) «Un Gesù storico incerto e frammentato: guadagno o perdita per la fede», in Studia Patavina, XLV (1998), pp. 3-19.

 

(60) Su questa linea è incamminato il Jesus Seminar e lo stesso Crossan, che si muovono all'interno di un grande scetticismo storico nei confronti del Gesù della storia e del suo messaggio. La percentuale di detti dei vangeli che possono appartenere al Gesù della storia non supera, secondo questi autori, il 18 per cento di tutto quanto gli viene attribuito dagli evangelisti. Crossan, ad esempio, ritiene che nei racconti della passione non vi sia in pratica alcun ricordo storico, essendo tutti un prodotto della comunità cristiana primitiva.

 

(61) E. P.   Sanders è forse il migliore rappresentante moderno di questa corrente.

 

(62) Questa è l'opinione di G. Segalla: «Un Gesù storico incerto e frammentato: guadagno o perdita per la fede», in Studia Patavina, XLV (1998), pp. 3-19.

 

(63) Così si esprime L. Renwart, «Portraits du Christ», in Nouvelle Revue Théologique, 118 (1996), p.   893, in occasione dell'opera di Romano Penna, I Ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. I. Gli inizi, Torino 1996.

 

(64) Non c'è spazio in questo saggio per dare fondamento a tali affermazioni, che possono essere oggetto di un altro lavoro; questi quattro atteggiamenti di fondo di Gesù sono quelli che gli scritti neotestamentari indicano come caratteristici della sua comunità di seguaci. Nel mio articolo «Valores humanos para una comunidad cristiana», Frontera, 5, (1998), pp. 27-46, sostengo che una comunità cristiana deve essere intrisa di questi quattro valori, che ci vengono dal più profondo della personalità di Gesù di Nazaret.

 

(65) Frase di M. Quesnell, Jesús Christ. Un exposé pour comprendre. Un essai pour réfléchir, Parigi 1994, citato da L. Renwart, «Jesus, le Christ de Dieu. Chronique de christologie», Nouvelle Revue Théologique, 117 (1995), p.  896.

 

(66) In quest'ottica è stata scritta la recente opera di P.   Grelot, Jésus de Nazareth. Christ et Seigneur. Une lecture de l'évangile, Vol. 1, Cerf-Novalis, Parigi 1997. L'autore ricostruisce la figura di Gesù uomo con la più ampia apertura alla sua essenza di Figlio di Dio. Grelot è convinto che tale dimensione non può essere deliberatamente messa di lato per arrivare a una pseudo-ricostruzione neutrale: «Trattare Gesù di Nazaret pretendendo di attenersi alla pura storia "fattuale", nel contesto di una pretesa neutralità che lasci da parte il problema della fede in Gesù Cristo, è un'implicita scelta contro questa fede», p.  14.